La questione dei danni arrecati alle colture agricole è cosa saputa e risaputa.
In campagna da sempre si è convissuto con i danni alle colture, ma la differenza vera sta nel fatto che negli ultimi 10/15 anni l’incidenza della fauna selvatica ha avuto incrementi esponenziali. Basti pensare che la Toscana è seconda, solo all’Austria, come densità di ungulati.
Un equilibrio perso, grazie ad una politica poco attenta e poco lungimirante.
Nessuno vuole l’eradicazione, ma una giusta densità sì.
Nelle nostre campagne possiamo ammirare anche i Cervi, una specie non autoctona, e quindi per legge non dovrebbe essere presente.
I caprioli sono passati dall’essere una specie rarissima ad una con numeri inverosimili.
I cinghiali, non più quello maremmano, che arrivava a malapena a 40 kg, superano abbondantemente i 100 Kg. Insomma, un cinghiale domestico.
E allora l’agricoltore cosa può o deve dire, o meglio cosa si aspetta?
Certo tollerare va bene, ma qui si è superato ogni limite.
La normativa nazionale ( 157/92) è vetusta e superata così come quella regionale 3/94.
Oggi per avere sicurezza dei nostri raccolti c’è solo una soluzione: recintare. Ma le nostre bellissime campagne, invidiate dal mondo intero, possono tollerare una recinzione? Ha un senso logico? Se la fauna è patrimonio indisponibile dello stato, questo se ne deve far carico!
E non vogliamo sentir parlare di indennizzi, bensì di risarcimento. O meglio, gli agricoltori bramerebbero di vedere le loro produzioni arrivare a maturazione, non gli interessa il ristoro del danno.
I mercati, faticosamente ottenuti, si onorano con i risarcimenti? E il valore aggiunto? E la libertà di esercitare impresa?
Ora le linee guida, in attesa di un Piano Faunistico venatorio scaduto da oltre 7 anni…Vorremmo coraggio, rispetto e capacità di risolvere i problemi.
Non c’è da inventare nulla. Guardiamo all’Europa. Quello che da noi è un problema, in alcuni paesi europei è divenuto, da tempo, un’opportunità.