Qualivita eccellenza a supporto del sistema delle Dop e IGP
Parlando di eccellenze possiamo dire che ne è ben conoscitore?
“Sono nato in una famiglia piemontese che dal 1846 distilla Grappa, poi mio nonno mi ha passato la passione per l’Aceto Balsamico di Modena, due produzioni nelle quali mi sono cimentato fin da ragazzo. Essendo entrambe Indicazioni Geografiche, mi sono poi avvicinato a questo straordinario mondo, che dal di fuori mi appariva estremamente complicato, fatto di regole, controlli, consorzi e associazioni per comprenderne i meccanismi e il funzionamento, e me ne sono piano piano innamorato. Poi sono venute le presidenze del Consorzio Grappa Piemonte, dell’Istituto Nazionale Grappa, del Consorzio Aceto Balsamico di Modena, la partecipazione nel cda di Origin Mondo a Ginevra e per finire la presidenza di Qualivita che mi ha riempito di orgoglio. Ecco, non posso dire di essere un massimo esperto dei sistemi agroalimentari di qualità, ma mi definirei un buon conoscitore”.
La necessità di ben valorizzare le nostre produzioni agroalimentari è datata nel tempo. Da quel lontano 2000 cosa è successo?
“Le indicazioni Geografiche hanno una storia che appunto risale ai primi tentativi Italiani e Francesi di proteggere i valori economici del mondo rurale: iniziato negli anni 50 con formaggi e vini, alla ricerca della difesa comune delle proprie denominazioni per proteggersi dai crescenti attacchi della grande industria alimentare, il sistema è stato poi esteso nel 1992 a tutti i prodotti agroalimentari. Nel 2000, quando ancora le DOP e IGP erano considerate una specie di ‘curiosità’ non solo dal grande pubblico ma anche dagli economisti, nasce la nostra Fondazione su iniziativa di Paolo De Castro e Mauro Rosati, che in questo sistema vedono un futuro di grande sviluppo e di beneficio per i territori, e decidono di dedicarsi allo studio e alla divulgazione degli aspetti economici, sociali e culturali legati a questo mondo. Mai però ci si sarebbe attesi una crescita così importante: in questo quarto di secolo la ‘curiosità alimentare’ si è trasformata in un sistema economico capace di sviluppare oltre 20 miliardi di fatturato, di dare lavoro a 800mila lavoratori, e di creare un indotto di incalcolabile valore per gli aspetti sociali, ambientali, turistici e culturali, che ha reso il nostro Paese estremamente più attrattivo. In questi venticinque anni dal primo regolamento europeo sono scaturite alcune revisioni importanti, sempre suddivise per i comparti dei vini, dei prodotti agroalimentari e delle bevande spiritose: solo quest’anno l’Unione Europea, prendendo piena coscienza dell’enorme importanza assunta dal sistema della DOP-Economy – altra espressione coniata da Qualivita – ha deciso di spingere per estendere questo sistema anche negli Stati membri dove ha preso meno piede, e ha deciso di semplificarne le norme, unificando i tre comparti in una unica raccolta, un vero ‘Testo Unico Europeo della Qualità’, ciò che è il regolamento 1143 entrato in vigore il 13 maggio scorso”.
La promozione è un coro armonioso o spesso ci sono stonature?
“Da sempre l’Unione Europea sostiene l’agricoltura con fondi importanti, che vengono deliberati a livello centrale e poi gestiti dai singoli Stati. I fondi destinati all’Italia sono ingenti, tuttavia il loro utilizzo si perde in molti rivoli, che ne disperdono l’efficacia. Il caso dei prodotti di qualità ne è un esempio: la dispersione avviene tra fondi destinati alle Denominazioni Geografiche, al Biologico, ai Distretti del Cibo e a molte altre voci, che riducono purtroppo l’impatto globale di tali investimenti. I Consorzi poi si trovano spesso a dibattere al proprio interno sulla destinazione dei fondi, e nel caso delle Indicazioni Geografiche che hanno una forte quota di export la necessità di coprire molti mercati a livello mondiale rende ancora più difficile una oculata gestione dei fondi resi disponibili dalle azioni istituzionali e dai consorziati.A mio avviso, una attività di forte informazione dei consumatori sulle caratteristiche non di un singolo prodotto, ma dell’intero sistema delle IG e del valore intrinseco rappresentato dai bollini giallo-blu e giallo-rosso sarebbe indispensabile, per far capire che quando ci si accosta ad una DOP o IGP si contribuisce non solo all’economia del territorio e del proprio Paese, ma a rendere il mondo più sostenibile”.
Le nostre produzioni sono sempre più attenzionate, spesso non nella giusta maniera. La normativa ottimo scudo di protezione? Va in questa direzione anche l’ultimo provvedimento europeo?
“Il grande successo della DOP Economy ha via via attirato l’attenzione da parte delle lobby della grande industria, che dopo aver tentato di imitare o evocare le produzioni locali con i propri prodotti di massa (e l’esempio più lampante lo troviamo negli USA, ove le multinazionali producono il Parmesan cheese o l’Asiago, come pure il Balsamic Vinegar) sembrano aver mutato la propria strategia, indirizzandosi verso sistemi tesi a screditare le produzioni tipiche. Le armi sono molteplici: dal Nutriscore alla guerra all’alcool, alla propaganda contro il consumo di carni e salumi, eccetera, finanche al tentativo di introdurre sistemi di riutilizzo per gli imballaggi, anziché di riciclo, che avrebbero giocoforza danneggiato i produttori più piccoli, incapaci di raccogliere i propri imballaggi su mercati lontani. Contro questi tentativi le uniche armi a disposizione sono quelle della ricerca, per rappresentare i benefici piuttosto che i danni dei prodotti di qualità (che non a caso si chiamano così…), e della politica per contrastare questi tentativi giocati ai piani istituzionali più alti. Se invece parliamo di protezione dalle evocazioni e imitazioni, il nuovo Regolamento ha certamente introdotto sistemi di maggior tutela anche per l’e-commerce: dovremmo esser capaci di verificarne l’efficacia tra pochi mesi, quando la normativa darà i primi effetti, tuttavia dobbiamo essere consapevoli che la protezione resta solo limitata ai Paesi dell’Europa, mentre in mercati assai importanti come gli USA vi è una forte avversione ad accettare limitazioni e controlli”.
Appunto l’EU. Oneri e onori. Siamo buoni competitors?
“A livello di Indicazioni Geografiche, non solo l’Italia è il maggior produttore mondiale di prodotti di qualità, ma ne è anche il maggior esportatore.
Ovviamente il prezzo e il valore aggiunto di queste produzioni restano e resteranno sempre più elevati di quello delle commodities, ma i consumatori di quasi tutto il mondo apprezzano i prodotti italiani e li preferiscono non solo a quelli locali, ma anche a quelli di altre provenienze (e al proposito mi è gradito osservare che, mentre ci lamentiamo di Italian sounding, non si è mai sentito parlare di French- o di Spanish-sounding..)”.
Tante Dop e Igp. Qualcuno sostiene che ce ne sono troppe, forse perché le produzioni sono tal volta ridotte? Ma se ricchezza è avanti così?
“Effettivamente c’è stata una discussione, durante le fasi preparatorie della riforma delle IG, in merito al numero delle denominazioni protette: un gran numero, e crescente come nel caso italiano, sembrava poter ridurre l’incisività e l’importanza dello ‘status’ di DOP e IGP. Si è poi giunti alla conclusione che un numero elevato di denominazioni non fosse controproducente, a condizione che nel tempo venga fatta una importante attività di valorizzazione del significato delle IG e dei due bollini che le contraddistinguono. Vero è comunque che l’essere DOP o IGP comporta per i produttori una serie di attività e di costi extra rispetto alla produzione generica, oneri che hanno senso solo se in presenza di una produzione di volumi apprezzabili: quando questi mancano, gli oneri superano i benefici e i produttori stessi dovrebbero comprendere che non ha senso allora vantare la registrazione solo come distintivo sulla giacca…”.
L’innovazione imprescindibile leva dello sviluppo agroalimentare? Ed anche dei consumatori?
“Innovare è un verbo che presenta tante sfumature: sulla scorta di quanto ci somministrano le pubblicità sui media, il pensiero corre a nuove qualità di prodotto, a nuove funzioni o contenuti nutrizionali. In verità, innovare spesso significa porre in essere attività nuove, per…mantenere il prodotto come esso è. Penso alla ricerca di palliativi che permettano la coltivazione o l’allevamento in zone colpite dagli effetti del cambiamento climatico, per esempio: qui si è costretti ad innovare per offrire al consumatore il prodotto nella stessa qualità che conosce. In tal senso si protegge il consumatore, e l’economia degli operatori. Ricordiamo poi che alla base dell’innovazione sta sempre la ricerca, che nel caso delle IG deve essere a mio avviso orientata verso obiettivi seri e rigorosi nella difesa dei valori propri del sistema: proprio per questo da due anni Qualivita ha rinforzato il proprio Comitato Scientifico con personalità del massimo rilievo, e ha intrapreso con decisione la strada della ricerca”.
Il prossimo progetto da cantierare?
“Sono anni di intensissima attività: appena varata, su richiesta della Presidenza del Consiglio, una versione dell’Atlante Qualivita/Treccani in lingua inglese che verrà distribuito ai partecipanti al G7 in Puglia, stiamo raccogliendo i dati per il prossimo Rapporto Ismea/Qualivita sulle IG e intanto pensiamo a come meglio celebrare i primi 25 anni della Fondazione”.
Un’occasione persa?
“Non me ne vengono in mente, anche perché il nostro infaticabile Direttore, Mauro Rosati, tiene costantemente monitorato ogni aspetto posto sotto il monocolo della Fondazione…”.
Un cordialissimo saluto.
Il Direttore,
Gianluca Cavicchioli