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Lavoro e futuro: dialogo con Maurizio Sacconi sulla rivoluzione del lavoro e le sfide del domani

Dic 9, 2024 | Apertis Verbis, Novità

La nostra maniacale attenzione alle politiche del lavoro ci ha permesso d’incontrare Maurizio Sacconi. Opportunità preziosa per interloquire su questo copernicano argomento e non solo.

Numerosi incarichi di governo, politici e professionali e ora Presidente della Associazione Amici di Marco Biagi, think tank dedicato in particolare al lavoro pubblico e privato. Non c’è bisogno certo di presentazioni, ma abbiamo necessità di un confronto diretto e franco su tante questioni che affrontiamo nel quotidiano. Carissimo Presidente, davvero lieti di questa opportunità.

Stiamo assistendo ad una profonda trasformazione nel rapporto di lavoro subordinato e nelle sue rigide prassi. Tutto già previsto lustri addietro?

Nel 2001, il Libro Bianco firmato da me e Biagi descriveva l’esaurimento progressivo della seconda rivoluzione industriale. Quindi delle produzioni seriali e dei lavori ripetitivi. Intuivamo che le nuove tecnologie avrebbero cambiato i tradizionali modelli organizzativi verticali e ridato un volto ai lavoratori dopo i lunghi anni della loro massificazione indistinta. Ora la fine di quella stagione si è realizzata, ma non possiamo prevedere le infinite evoluzioni del salto tecnologico. Abbiamo quindi bisogno di persone integralmente formate, con adeguate competenze tecniche ma ancor più capaci di adattamento, relazionalità, iniziativa, pensiero critico. Persone motivate da retribuzioni proporzionate al loro contributo ai risultati aziendali, a prescindere dall’età. Persone ascoltate, ciascuna, nella integralità dei loro bisogni e delle loro aspirazioni. Deve mutare quindi il rapporto di lavoro, trasferendo dall’orario agli obiettivi la misura della prestazione e personalizzando molta parte dello scambio tra le parti.

La cronica carenza di manodopera non è solo frutto di una riduzione demografica, c’è ben altro. La persona al centro delle politiche, il lavoratore visto come imprenditore di sé stesso; insomma capovolto l’archetipo della figura debole. Ci dovremmo orientare su di una contrattazione più individuale?  Siamo davvero pronti? 

La crisi dell’offerta è determinata certamente dal declino demografico ma anche dai gravi vizi del nostro sistema educativo e dal venir meno, in una parte dei più giovani, del senso del lavoro. Paghiamo oggi gli errori maturati nei decenni, a partire dagli anni ‘70. Il carattere autoreferenziale dell’istruzione pubblica, l’assenza di orientamento alle scelte educative, la diffusione di un certo nichilismo culturale. Oltre il 33% delle persone in età di lavoro non lavorano e non chiedono di lavorare. Soprattutto giovani e donne. Si tratta di un giacimento da recuperare alla vitalità della nazione. Tra gli strumenti fondamentale è la ripartenza dell’ascensore sociale e con esso la ricostruzione della speranza nel futuro. Poi, anche contratti di lavoro personali e adattivi aiutano a motivare le persone. Non cancellano la contrattazione collettiva ma la riorientano alla dimensione aziendale quale cornice quanta più prossima.

La prima domanda in un colloquio di lavoro è di quanto tempo libero si dispone e non più quanto è lo stipendio. Siamo impreparati a questo?

Non siamo preparati a pagare il lavoro per quello che vale, superando appiattimenti e incrementi legati all’anzianità. Quando il lavoro non appare motivante, allora il lavoratore cerca di ridurne le fatiche con la prestazione da casa e il rifiuto degli straordinari.

Appunto la contrattazione collettiva. In questi mesi stiamo rinnovando i contatti di lavoro degli operai agricoli. A parer nostro rimane senz’altro un valore aggiunto e fonte di dinamicità a patto che vi sia lungimiranza, visione e nessun condizionante ordine di scuderia. Uno strumento per definire intese premianti e rispondenti alle necessità del connubio impresa – lavoratori. 

Non dobbiamo rinnovare i vecchi contratti, il cui impianto risale agli anni ‘70 e perfino in agricoltura risente dei vecchi modelli produttivi. Dobbiamo realizzare contratti nuovi che garantiscano prestazioni di welfare integrativo nella dimensione nazionale e per il resto facciano quanto più rinvio alla dimensione territoriale e aziendale.

Premiare la produttività serve davvero? Oppure è uno strumento per nascondere la poca capacità di migliorarla?

Dobbiamo premiare una serie di parametri: la fedeltà nel tempo (retention), la scomodità (lavoro notturno, festivo, straordinario), gli incrementi di professionalità, il conseguimento degli obiettivi assegnati. E i premi devono essere sensibili, tali da fare la differenza per coloro che li meritano rispetto agli altri. Così cresce la produttività!

Un pensiero al compianto Prof. Marco Biagi. Un attento studioso e saggio giuslavorista. Avevate previsto davvero tutto.

Marco ebbe straordinarie intuizioni. Non conosceva internet ma capì che si stava aprendo una dimensione in cui sarebbe stato possibile dare valore alle persone nel lavoro. Il che avrebbe richiesto una rivoluzione nelle istituzioni del lavoro forgiate nei primi decenni del dopoguerra e che sopravvivono alla grande trasformazione in corso per pigrizia politica, corporativismi, vecchie ideologie morte con il mondo che le ha generate. Con il Professor Massagli ho appena scritto un libro sul lavoro che, nel nome di Biagi, invoca nel titolo un “Otre nuovo per vino nuovo”. Ovvero un contesto di politiche e di regole idonee alla vitalità delle economie sostenute dalle tecnologie intelligenti.

Altra novità di non poco conto. La Cassazione ha affermato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello iperprotettivo ad un modello collaborativo, in cui gli obblighi sono ripartiti fra più soggetti, compresi i lavoratori. Un cambiamento che dovrebbe dar valore soprattutto ai lavoratori stessi?  Una lieta novella che ha trovato davvero poca enfasi.

Se gli ispettori fossero andati nelle aziende in cui vi sono stati molti recenti infortuni mortali avrebbero detto che tutto era in regola. Ma niente era a posto. Il testo unico è stato applicato nella sua parte formalistica ma non in quella sostanzialista, fatta di linee guida, buone prassi, norme tecniche, addestramento e non solo formazione, ecc. In questo contesto la giusta logica collaborativa si produce naturalmente. Bisognerebbe premiare, ad esempio l’impiego di tecnologie per la sicurezza facendo simultaneamente cadere molti adempimenti formali.

Quanto conta il benessere nel e sul lavoro?

Moltissimo. Ciascuna persona ha una propria necessità di benessere (personale e familiare) che va compresa e favorita.

Il connubio scuola – lavoro. Vero motore dell’occupazione e della crescita. La strada è lunga ma i frutti già li possiamo vedere?

Li vediamo soprattutto nella filiera tecnologica professionale. Ancora poco nei rimanenti percorsi scolastici e universitari. Le imprese devono entrare di più nei nuovi modelli pedagogici, soprattutto per riscoprire la valenza educativa delle esperienze pratiche.

Quale provvedimento vorrebbe che venisse approvato a breve?

La flat tax su tutte le componenti premiali della retribuzione erogate nella dimensione aziendale e territoriale. Non possono essere penalizzate dalla progressività del prelievo fiscale.

Ci mancano il coraggio e la determinazione. Pochissimi interventi strutturali, solo spesa non buona. Difficile cambiare passo?

Biagi scrisse il suo ultimo editoriale per Il Sole dicendo che i cambiamenti costano, comportano anche prezzi elevati. Ma non vi possiamo per questo rinunciare perché in gioco è il benessere della nostra società, la possibilità che torni ad essere vitale e attiva come negli anni della ricostruzione e del boom economico. Se non siamo capaci di cambiare, saremo condannati al declino di fronte alla aggressività dei nuovi competitor come la Cina.

Davvero onorati della Sua disponibilità. Chiederemmo ancora la Sua disponibilità per provare a dare il nostro contributo al sistema produttivo.

Il Direttore,

Gianluca Cavicchioli

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