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Valore aggiunto in agricoltura: dalla ricerca individuale alla strategia collettiva

Feb 24, 2025 | Apertis Verbis, Novità

Il Professor Emanuele Blasi analizza sfide e opportunità per il settore agricolo italiano, tra sostenibilità, innovazione e necessità di una mentalità condivisa per trasformare l’eccellenza produttiva in valore economico duraturo

Ricercare, trovare, cristallizzare il valore aggiunto per i produttori agricoli. La famosa quadratura del cerchio. Un percorso infinito che ancora non ha trovato la retta e giusta via. Questa la vera necessità di chi produce. Ma forse uno spiraglio c’è, una speranza, o meglio ancora una foriera certezza. A chi chiedere lumi? Al Professor Emanuele Blasi, Professore in Economia agraria e agroalimentare dell’Università della Tuscia. Premiante l’osservazione e lo studio nelle sulle principali linee di ricerca relative alle relazioni economiche tra il settore alimentare e la diffusione di pratiche innovative, il tutto immerso nella sostenibilità, intesa a tutto tondo.

Professore buongiorno, benvenuto e bentornato. Abbiamo già avuto modo di conoscerci e di apprezzare i suoi studi e conoscenze. In premessa la ricerca dell’araba fenice. A che punto stiamo?

Partiamo dai dati, la stima preliminare di conti economici dell’agricoltura appena comunicata da ISTAT riconosce due segni positivi per l’agricoltura italiana rispetto all’anno passato. Aumento del volume delle produzioni superiore alla media dell’Ue e primi in classifica per valore aggiunto. Attenzione però, l’alto valore aggiunto agricolo, di fatto una differenza tra il valore della produzione e i costi esterni delle nostre aziende, è in gran parte legato alla flessione consistente nell’uso e nei prezzi di beni e servizi impiegati nel settore. Preoccupante in particolare il dato sul calo del lavoro esterno impiegato nel nostro settore molto più rilevante di quanto registrato in Ue. Sembrerebbe che i nostri imprenditori vogliano mettere in sicurezza i propri margini piuttosto che lavorare alla ricerca di strategie di valorizzazione delle proprie produzioni, evitando il ricorso a nuovi prodotti e servizi. Come dargli torto quando il prezzo lo fa il mercato e le principali commodities sono condizionate da fattori imprevedibili e geo-politicamente difficilmente governabili.

Le cause ed i rimedi. Forse il sistema imprenditoriale è portato a pensare più all’io che al noi? 

In parte è così, siamo strutturalmente portati a cercare e applicare soluzioni cucite su misura sulle percezioni dei singoli. Inutile negare la nostra tendenza a creare prodotti unici, diciamo che ci piace essere inventori e avere riconosciuta la paternità di ciò che produciamo, specialmente guardano a prodotti agricoli ad alto valore aggiunto, appunto. La forte eterogeneità delle nostre condizioni storiche, culturali e ambientali ci permette di primeggiare in Ue nonostante strutture aziendali e disponibilità di terra assai più ridotte e limitate rispetto ai nostri vicini competitor. Tuttavia, questo a volte ci porta a non dare il giusto peso al contesto, non riusciamo a far si che le buone idee circolino e che si creino condizioni di sviluppo per l’intero comparto.

È come se avessimo bellissime ricette e smodata conoscenza del “fare”, ma non del vendere e del valorizzare ciò che facciamo. 

Il gap è proprio qui. Vedo tante eccellenze, sia in campo che nella trasformazione, storie di gestione di aziende e produzioni in contesti dove nessun altro imprenditore avrebbe deciso di rischiare. Nelle mie tante attività progettuali rimango sempre stupito dal divario che c’è tra conoscenza tecnica dei processi, lettura di fenomeni pedo-climatici, strategie colturali e loro relazioni con le rese, rispetto alla capacità di lettura di indicatori di base economici e finanziari legati ai mercati di fattori produttivi, beni e produzioni agricole. In sintesi, moltissimi conoscono i nomi delle molecole più adatte alla gestione della nutrizione delle piante o delle varietà più performanti, troppo pochi invece quelli che sanno interpretare un dato di tendenza sui consumi o l’andamento delle quotazioni.

Il mercato, questo illustre sconosciuto”. Intercettarne le esigenze, la volubilità, le opportunità da cogliere, i sottili messaggi del cambiamento, insomma anticipare più che inseguire.  Per questo serve mentalità e convinzione, poi i mezzi ma senza i primi tutto diventa velleitario.

Il mercato è spesso solo identificato agli operatori con il prezzo di riferimento, quanto mi daranno? Come spesso racconto il prezzo è la fine di un processo articolato fatto di comunicazioni tra le parti, previsioni di andamenti produttivi e soprattutto di interpretazione dei fabbisogni della società, prima ancora che dei consumatori. Gli sforzi maggiori devono essere riposti nella creazione della consapevolezza che l’insieme dei produttori può “fare mercato”, la famosa aggregazione delle produzioni per ottenere massa critica non si deve limitare a conteggiare i volumi fatturati, piuttosto deve servire a creare quel “noi” di cui abbiamo parlato prima.  

Formazione e conoscenza, uguale mentalità vincente. Realtà a macchia di leopardo. Ove e come stimolarne la crescita?   

Entrare in relazione con le aziende agricole, i conduttori di oggi e gli imprenditori di domani. Dobbiamo cogliere questa opportunità di cambio generazionale per valorizzare il passaggio di consegne, unire quel saper fare unico con la ricerca di nuove sfide da giocare. Vedo una certa urgenza in questo. Sempre meno ragazzi e ragazze scelgono di formarsi in percorsi formativi di supporto alle aziende agricole o agroindustriali. Non possiamo permetterci di avere imprenditori lasciati soli, la crescita del settore passa per la contaminazione tra saperi e conoscenze diverse, nuove. Lato nostro, ricerca e formazione, dobbiamo fare di più per rendere attrattive le nostre offerte didattiche, insieme con voi dobbiamo restituire al nostro settore un’immagine vincente, così arriveranno menti fresche a sostegno della crescita, culturale prima e economica poi.

Il progetto “grano duro” e quello sul “pomodoro”. Oltre le parole i fatti. Quale il primo e “vero” passo in avanti? 

Il vero valore di questi progetti? Dimostrare che sì, è possibile anche l’impensabile! Con il progetto grano duro abbiamo dimostrato che le criticità di un settore non si possono affrontare dando il via alla caccia al colpevole, urlando out-out e battendo i pugni sul tavolo. Durante i tre anni di progetto tutti i firmatari del Protocollo della Filiera Grano-Duro Pasta hanno abbandonato questo modello e si sono messi a servizio dei loro associati. Questo ha permesso di immaginare e realizzare il sistema FRUCLASS i cui risultati hanno consentito un costruttivo dibattito sulla qualità del grano italiano, partendo dai numeri! Sottolineo che l’ottenimento di dati sulla qualità dei conferimenti non è avvenuto grazie ad un sistema di “obblighi”, abbiamo ottenuto dati durante le campagne granarie per il 10% delle produzioni di grano duro in tempo reale perché produttori, stoccatori e trasformatori hanno capito che quel tipo di dato gli avrebbe permesso di migliorare le loro strategie produttive e commerciali! Questo il vero valore del progetto che abbiamo preso a modello per farne una replica nella filiera del pomodoro da industria. Dopo un’analisi sui fabbisogni della già strutturata filiera, oltre gli agricoltori abbiamo OP, OI e industrie di prima e seconda trasformazione, abbiamo compreso che programmazione, tracciabilità e necessità di nuovi modelli di business per rafforzare i rapporti commerciali sono le necessità trasversali a tutte le fasi. Andremo a scoprire in questa campagna se un pizzico di innovazione messa a sistema tra tanti ci consentirà di rendere una filiera più coesa e competitiva, insomma un po’ più di “noi” che di “io”!

Un provvedimento ministeriale che farebbe davvero comodo? In soldoni, l’architrave per una solida costruzione?

Nonostante gli sforzi vedo che il sistema di trasferimento di fondi per gli operatori che vogliono perseguire strade nuove, stenta a prendere forma. Non mi dilungo sulle problematiche di armonizzazione dei fondi e strumenti di accesso alle dotazioni stanziate, piuttosto penso sia necessario provvedere a nuove modalità di screening dei progetti. Mantenendo l’accento sulle necessità tecniche, fondi per ricerca, investimenti strutturali, trasferimento tecnologico, mi auguro un provvedimento che premi proposte portate avanti da gruppi di attori, non necessariamente filiere o linee di fornitura, che vogliano testare il design collaborativo di strumenti pre-competitivi. Mi piacerebbe un provvedimento ministeriale che dia credito ad associazioni che promuovono progetti in cui, per esempio, si testino modelli partecipati per analisi di settore, si creino sistemi informativi da cui far emergere dati di benchmark su sostenibilità e redditività per contesto di produzione.

A quale progetto sta lavorando?

Progetti nuovi? Diversi. Uno inizierà a Marzo, il Progetto CROP-Cat, cordata internazionale guidata da un collega francese, ha l’obiettivo di identificare i principali drivers per la valorizzazione delle colture minori, quelle che permettono di aumentare biodiversità e resilienza dei nostri sistemi agricoli, tramite la revisione dei contratti di approvvigionamento nelle mense pubbliche; poi BIOSERVICES, 21 partner da tutta Europa che indagano su come monitorare gli effetti dei cambi di uso del suolo sulla biodiversità dei suoli, mi occuperà di stime del valore economico creato dall’implementazione di diverse pratiche; infine, WASTEWISE, anche questo un progetto Europeo, riguarda la quantificazione e stima delle perdite e degli sprechi alimentari lungo le filiere. In questo caso, rispetto ai colleghi degli altri paesi europei dobbiamo lavorare molto per avere una fotografia del fenomeno basata su dati, che non sono presenti in modalità organizzata per molte, molte filiere.  Poi, tanto mi vede coinvolto con lo spin-off Value Groovers, un’impresa nato proprio per accompagnare il settore agricolo, agroalimentare e della bioeconomia verso una presa di coscienza di quanto un approccio di “noi” sia capace di generare valore, non solo innovazioni tecnologiche ma innovazioni culturali!

Dei se e dei ma sono piene le fosse del senno del poi“. Ha un “se “che spesso rammenta? 

Se solo avessimo piena coscienza della tanta ricchezza prodotta dal nostro sistema agricolo e agroalimentare potremmo spenderci per sane collaborazioni, dove la crescita di valore è successo di tutti e non proprietà di qualcuno.

Lieti dei suggerimenti e della compagnia. A presto sulle nostre pagine.

Il Direttore,

Gianluca Cavicchioli

 

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