Il Presidente di Assoenologi racconta il ruolo degli enologi, l’importanza della formazione e le sfide del settore vitivinicolo tra sostenibilità e mercato globale
Territorio, vitigni ed enologi. Non dimentichiamoci di questi ultimi. I veri maestri d’orchestra per una composizione finale d’eccezione. Ne vogliamo parlare con il Presidente Assoenologi Riccardo Cotarella, l’enologo degli enologi. Presidente benvenuto. Partiamo dalla vostra professione. Qualità per fare qualità?
La qualità nel vino nasce dalla passione, dalla competenza e dall’attenzione ai dettagli. È fondamentale un approccio scientifico che si integri con la tradizione, garantendo un prodotto che rispecchi il territorio e soddisfi le aspettative dei consumatori.
Tutti esperti di vino. Certamente un bene parlare di vino e consumarlo, ma dobbiamo riconoscere la titolarità della conoscenza a chi può farlo “ragion veduta”?
È senza dubbio positivo che il vino sia al centro dell’attenzione e che sempre più persone vogliano approfondirne la conoscenza. Tuttavia, è fondamentale distinguere tra l’apprezzamento da parte del consumatore e la competenza professionale. Il vino è un prodotto complesso, frutto di un equilibrio tra natura e tecnica, e per comprenderlo a fondo servono studio, esperienza e metodo scientifico. La scienza enologica ha permesso di fare passi da gigante nella qualità e nella sicurezza dei vini. La formazione tecnica è essenziale per affrontare le sfide del settore: dal cambiamento climatico alla sostenibilità, dalla gestione della vigna alla vinificazione. È grazie al contributo degli enologi, formati con rigore e con un continuo aggiornamento, che oggi il vino italiano è riconosciuto nel mondo per la sua eccellenza. La divulgazione è importante, ma dobbiamo fare attenzione a non banalizzare il vino con semplificazioni eccessive. Il ruolo dei professionisti è quello di guidare il consumatore nella scoperta della cultura enologica, fornendo informazioni corrette e approfondite. Solo in questo modo possiamo garantire che la passione per il vino si traduca in una conoscenza autentica e consapevole.
Forse se ne parla fin troppo anche in Europa. Perché questa maniacale attenzione?
L’attenzione dell’Unione europea verso il settore vitivinicolo non è solo il risultato della sua importanza economica e culturale, ma spesso si traduce in attacchi ingiustificati, come abbiamo visto con le proposte di etichette sanitarie simili a quelle dei pacchetti di sigarette. Equiparare il vino a una semplice bevanda alcolica senza considerarne il valore storico, sociale e anche salutistico, se consumato con moderazione, è un approccio miope e dannoso. Il vino fa parte della dieta mediterranea, riconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità, e la scienza stessa ha dimostrato che un consumo equilibrato, all’interno di uno stile di vita sano, non è paragonabile agli abusi di alcol che si vogliono combattere. È necessario contrastare questa deriva ideologica con dati concreti e con un dialogo serio a livello istituzionale. L’Europa dovrebbe piuttosto tutelare e valorizzare la cultura enologica, che rappresenta un asset fondamentale per l’economia e l’identità di molte nazioni.
Come vede il comparto? Rispondiamo bene alla volubilità del mercato?
Il settore vitivinicolo ha dimostrato una notevole capacità di adattamento alle mutevoli dinamiche del mercato. Investire in ricerca, innovazione e formazione continua è cruciale per mantenere competitività e rispondere efficacemente alle nuove tendenze e alle richieste dei consumatori. Detto questo, stiamo vivendo un momento molto complesso, la contrazione dei consumi è un fatto oggettivo.
La normativa bene così?
Le normative attuali offrono un quadro di riferimento solido per garantire la qualità e la sicurezza dei prodotti vitivinicoli. Tuttavia, è sempre possibile migliorare, snellendo procedure burocratiche e aggiornando le leggi in base alle evoluzioni del settore e alle esigenze dei produttori.
Vitigni certo, ma non trascuriamo la tradizione ed il territorio.
I vitigni sono l’espressione del territorio e della tradizione. Valorizzare le varietà autoctone è importante, ma lo è ancora di più valorizzare quelle varietà che danno valore al territorio e che attraverso la qualità, di conseguenza, danno reddito ai produttori. Non dobbiamo trascurare le nuove varietà, sempre laddove trovano l’habitat adatto alla produzione di grandi vini.
Dallo scandalo del metanolo di strada ne abbiamo fatta, ma per alzare l’asticella servono sempre eventi nefasti?
Lo scandalo del metanolo è stato un momento drammatico che ha segnato profondamente il settore. Da allora, c’è stata una presa di coscienza collettiva sull’importanza della qualità e della trasparenza. È auspicabile che il settore continui a progredire attraverso l’auto-regolamentazione e l’impegno proattivo, senza la necessità di eventi negativi per stimolare il cambiamento.
Protagonista di una carriera di successo. Prima di tutto imprenditori di sé stessi, poi?
Il successo nel mondo del vino richiede intraprendenza, passione e una visione chiara. Essere imprenditori di sé stessi significa investire nella propria formazione, assumersi responsabilità e affrontare le sfide con determinazione. Successivamente, è fondamentale costruire reti di collaborazione, condividere conoscenze e contribuire allo sviluppo collettivo del settore.
Un momento che ricorda nell’attività professionale?
Uno dei momenti più significativi della mia carriera è stato il riconoscimento internazionale di un vino nato da un progetto in cui ho creduto profondamente. Questo successo ha confermato l’importanza della dedizione, della ricerca e della qualità. Quel vino si chiama Montiano.
Abbiamo curiosato abbastanza, davvero grati della disponibilità.
Il Direttore,
Gianluca Cavicchioli