Curiosità, competenza, cambiamento: la rivoluzione silenziosa dell’agricoltura digitale
Ricerca su ricerca. La curiosità è un motore instancabile e prezioso. Così diamo il benvenuto a Marco Vieri, Professore ordinario del SSD AGR04B dell’Agroingegneria presso l’Università di Firenze, accademico Emerito e Consigliere dei Georgofili e membro delle Accademie Italiane della Vite e del Vino e dell’Olivo e dell’Olio, membro del Coordinamento Nazionale AKIS.
Giusta osservazione?
La curiosità insieme alla passione è quella molla che porta l’uomo a realizzare risultati inediti e unici.
Sperimentare per poi applicare pienamente in azienda. Questo l’epilogo. Ma è davvero così?
Realizzazione e impiego sono due cose distinte. Chi realizza innovazione con la sperimentazione crea uno strumento, ma sono le condizioni di impiego e le competenze acquisite che ne rendono utile o dannoso il suo uso.
Il cambiamento è sempre innesto complicato. Ne conviene?
Il cambiamento è sempre una condizione rimandata, se non rifiutata. Il “si è sempre fatto così” garantisce prudenza e comodità.
Spesso non è nemmeno una non volontà ma più riconducibile ad una non conoscenza. Agricoltura 4.0 docet?
Il cambiamento presuppone una motivazione, uno scopo, una “proposta di valore” chiara. Oggi il cambiamento in agricoltura presuppone l’impiego altamente efficiente delle risorse (suolo, mezzi tecnici, lavoro, …) e la mitigazione delle minacce (eventi meteorici estremi, patogeni alieni, ecc…) con un controllo più puntuale, frequente e preciso del maggior numero di fattori influenti in un sistema complesso come quello biologico-ambientale che caratterizza l’agricoltura. Ciò oggi si ottiene con strumenti di misura e di osservazione mirati, che producono dati (un’immensità) che opportunamente analizzati, secondo modelli matematico-statistici consolidati dalle sperimentazioni, ci offrono indicazioni fondamentali di supporto alle decisioni gestionali. Ciò solo in minima parte si può acquistare, è d’altronde necessario un adeguamento di mentalità, di conoscenze e di competenze per avere un dominio sufficiente di questo nuovo universo digitale. È questa una rivoluzione, un nuovo paradigma che può e deve trarre energia dall’introduzione delle giovani generazioni “digitali” nei nostri sistemi aziendali. La mia generazione è l’ultima di 4 che si sono succedute dal dopoguerra che hanno vissuto di rendita. Dove le innovazioni di “prodotto” si compravano; oggi è chiesto un cambio di “sistema” che si adotta con un aggiornamento generale. L’ultima rivoluzione, l’ultimo cambio di paradigma, lo hanno vissuto i nostri bisnonni nel passaggio dall’uso della forza animale che sapevano riprodurre, alimentare, curare, addestrare, all’uso dei motori; questi crearono un nuovo paradigma dove era necessario: trovare i combustibili, saper usare un motore, un meccanismo, trovare chi regolava e riparava le macchine, i pneumatici ecc. Oggi sembra tutto banale perché viviamo in un ecosistema di competenze e servizi di supporto alle macchine ormai ampiamente maturo. Senza negare la prudenza sempre necessaria in agricoltura, occorre aprirsi alla digitalizzazione che in effetti si può anche comprare assumendo un giovane che costruirà in azienda le conoscenze e le competenze fondamentali.
Come una bellissima biblioteca: serve solo se qualcuno la legge.
Oggi abbiamo la possibilità di avere una “conoscenza aumentata” ovvero la possibilità di accedere a tantissime informazioni e molti degli strumenti riconducibili alla grande categoria della Intelligenza Artificiale sono di estremo aiuto. Ma questo presuppone di frequentare questi strumenti con la prudenza di chi monta per la prima volta su una macchina completamente nuova la cui conduzione deve essere conosciuta per capirne le potenzialità, i pericoli e il corretto impiego.
Come possiamo ovviare? Se ne parla poco? O forse non in maniera performante?
L’innovazione richiede un cambio di mentalità e di approccio, cui segue un cambio di organizzazione del lavoro, delle strutture, dei servizi. È un processo lento che richiede perseveranza e attenzione.
Poche settimane fa si è chiuso il bando sui Geo Pei. Opportunità cristallina come volano per cambiare metodi e mentalità. Qui ogni euro è ben speso?
Ogni euro in sperimentazione, disseminazione e trasferimento è speso bene e soprattutto perché crea curiosità, competenza, professionalità. Un progetto crea nuove visioni, critiche, discussioni, ma comunque orienta tutti coloro che direttamente o indirettamente sono coinvolti verso una visione di miglioramento. E facciamo chiarezza: il costo di un progetto è sempre minore al prezzo mal speso di un singolo drone usato purtroppo negli attuali conflitti.
La normativa. Quella europea aiuta, non sempre, vedi le Tea. Ma quella nazionale spesso è davvero in forte ritardo. Ogni espresso riferimento ai droni è cosa ovvia.
La legislazione soffre fortemente della velocità con cui la tecnologia si sviluppa ed ha da sempre in Italia una doppia veste: molto puntuale (direi puntigliosa) nei regolamenti, ma poi incapace di controllarne la gestione e quindi soggetta a continue deroghe. È questo il caso dell’uso dei prodotti fitosanitari dove da 50 anni vi sono zone d’ombra come la determinazione della dose ad ettaro in relazione allo sviluppo delle piante o recentemente il caso dell’impiego dei droni che vede negli organi di governo un muro di gomma che tende a ingarbugliare la definizione di un quadro normativo, quando ad esempio si potrebbe cominciare con il mutuare le esperienze degli altri Paesi Europei che sono ad uno stato più avanzato di normazione.
L’ambito scolastico e quello universitario aiutano in questa positiva contaminazione?
La scuola è fondamentale ma è necessario usare gli strumenti digitali ed anche il “gaming”. I videogiochi sono il prototipo di come si controlleranno le tecnologie. È più utile orientarne l’uso che demonizzarli.
Coniugare la teoria con l’esperienza in azienda, potrebbe essere altro volano di accelerazione?
In agricoltura è oggi necessario avere gli “utensili” informatici e le scarpe da campo. Ci si prepara parimenti in aula, come in laboratorio e assolutamente in campo o cantina.
Non tiriamo ad indovinare. Ci dica quale progetto sta lavorando? Un nuovo brevetto?
Nella mia carriera ho sviluppato tante innovazioni, la mia generazione di ricercatori idealisti non prevedeva i brevetti e le idee venivano adottate liberamente: molte sono in uso, altre sono ancora troppo avanzate rispetto al livello di adozione tecnologica comune. Ma oggi il mio obiettivo prioritario è quello di individuare quelle chiavi che favoriscano l’adozione della digitalizzazione in agricoltura; l’essere membro del Coordinamento Nazionale AKIS ne è una prova.
Sfruttiamo poco le possibilità europee in termini di progettazione? Life, Horizon 2020?
Abbiamo ottime idee, competenze eccellenti e ottimi laboratori. Molto spesso chi fa ricerca vera non dedica il tempo necessario alle diplomatiche e farraginose azioni che precedono la progettazione. Il sistema di valutazione della ricerca in Italia ha poi degli aspetti perversi per cui i punteggi sembrano a volte più proficui in competenze da sistemisti e sicuramente non viene riconosciuta l’attività lunga e faticosa dell’operare sul campo, né tantomeno la cosi denominata “terza missione” ovvero il collaudo e la messa a punto con gli operatori sul campo. È necessario ripensare la valutazione delle attività di un ricercatore almeno nel campo agricolo e fornire supporti necessari alla progettazione soprattutto quella internazionale. Altri Paesi hanno sia uffici di “extension service” (tecnici divulgatori), sia uffici di assistenza alla progettazione.
Viticoltura e olivicoltura. Le sorelle del nostro paesaggio. L’una va benino, l’altra arranca. Eppure sempre nelle stesse aziende sono. Chissà perché?
La vite, una liana, è stata plasmata per ottimizzare la sua gestione in tutte le forme operative sia manuali, sia automatizzate e le è stata data una dignità e una personalità estrema. L’olivo, un cespuglio arboreo, ancora deve effettuare quel cammino che negli ultimi due secoli si è fatto sulla vite sia dal punto di vista genetico sia gestionale.
Appena ho un minuto…
Mi dedico alla agricoltura dell’Appennino dove i cambiamenti climatici ampliano il quadro colturale e dove uomini e imprenditori, anche grazie alle nuove tecnologie, alla digitalizzazione e ai relativi servizi di comunità (le smart communities) possono ritrovare un ambiente di vita e di lavoro connesso e ampiamente soddisfacente.
Tutto chiaro. Un caro saluto.
Il Direttore,
Gianluca Cavicchioli