Dalle fake news ai cambiamenti climatici, il Prof. Giorgio Cantelli Forti ci spiega perché oggi più che mai l’agricoltura ha bisogno di conoscenza e informazione corretta
Napoleone aveva davvero una vista lunga e rivoluzionaria è proprio il caso di dire. A riguardo di cosa? Dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, che dal 1807, imperterrita, con tutte le evoluzioni del caso, continua ad operare con il medesimo piglio e smalto dei tempi lontani. “…al servizio dell’economia e del territorio, promuovendo lo sviluppo dell’agricoltura e di conseguenza, lo sviluppo sociale e culturale dell’intera società…”. Insomma, trasversale ed attualissima, nel rispetto delle tradizioni, con il buon senso e la volontà di dare. Non è poca cosa; oggi, a dire la verità, ne sentiamo tanto il bisogno. Fra paure, facili entusiasmi, annunciate catastrofi e qualunquismo all’ennesima potenza. Fra moderni Nostradamus e social che amplificano ogni stormir di fronda, serve fermezza, autorevolezza e conoscenza. E allora con queste premesse e prime considerazioni diamo il benvenuto al Prof. Giorgio Cantelli Forti, Presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura.
Condivide le nostre premesse?
Assolutamente sì. Aggiungerei “fra paure, facili entusiasmi, annunciate catastrofi e …” poca cultura storica che è alla base della scarsa conoscenza degli eventi successi nei secoli passati. Essere informati in modo adeguato è fondamentale in questo campo, soprattutto oggi, in quanto le mode del momento, gli atteggiamenti ideologici e le fake news imperversano pericolosamente e in particolare nel web.
Abbiamo la fortuna di conoscere tanto e soprattutto di poterlo mettere a disposizione di tutte le persone ed aziende di buona volontà.
Oggi la conoscenza è fondamentale e le innumerevoli modalità di comunicazione e diffusione permettono, come detto, di arrivare a un pubblico ampio che va dall’agricoltore al consumatore finale e quest’ultimo, in particolare, necessita di informazioni ampie e dettagliate, ma principalmente corrette. Una opportunità così importante non può essere sprecata, deve essere vera e fatta con etica, stando molto attenti a cosa e come si comunica: le fake news sono sempre più aggressive e pericolose, soprattutto sui temi agroalimentari e ambientali, oggigiorno molto seguiti e di conseguenza strumenti utili per gravi speculazioni. Non è più il tempo dell’agricoltore con il cappello di paglia e il forcone, un’immagine bucolica del passato, perché l’agricoltura adesso è innovazione, ricerca, biotecnologie, tecnologie di precisione, benessere animale e sostenibilità ambientale: è un mondo in continua evoluzione e al passo con i tempi e, si può con certezza affermare, che la moderna agricoltura si arricchisce sempre più di straordinari processi operativi e di innovazioni tecnologiche. Al contrario, in questi ultimi decenni assistiamo a livello globale che gruppi d’interesse e di pressione nonché di strumentali aggregazioni ideologiche, senza alcuna base scientifica, attaccano il mondo agricolo accusandolo di essere portatore di inquinamento, di utilizzare pratiche errate e di generare pericoli per il consumatore finale. Tutto questo è falso e lo dico con forza perché la verità deve basarsi su evidenze sperimentali e comunicata con insistenza nella giusta maniera, perché conoscere e informarsi, è un obbligo morale per essere cittadini e consumatori consapevoli e responsabili. Una immediata conferma di quanto affermato la fornisce il recente rapporto di maggio 2025 dell’Istat che riporta il trionfo della longevità in Italia che ha raggiunto una vita media di 81,4 anni per l’uomo e di 85,5 anni per la donna. Numerosi adeguati studi scientifici di popolazione hanno da tempo dimostrato che uno dei principali fattori, che concorre all’allungamento della vita media, è l’alimentazione che deve essere composta da prodotti agricoli sempre più sani e il nostro Paese primeggia per questa eccellenza. L’Accademia Nazionale di Agricoltura, che ho l’onore di presiedere, è da tempo in prima linea su questo fronte battendosi nel promuovere e richiedere con forza la garanzia di una corretta comunicazione in campo agronomico, ambientale e salutistico. Pertanto, grazie all’impegno degli Accademici e alla fattiva collaborazione di Istituzioni e di Enti nazionali convenzionati organizza costantemente su questa tematica convegni, seminari, progetti, corsi di formazione e orientamento per studenti, nonché pubblica bandi di premi per studenti e ricercatori. In sintesi, l’Accademia è aperta alla Società civile e, non avendo alcun timore di prendere posizione, sente come prima ragione d’essere il dovere di portare avanti le istanze dell’Agricoltura, come settore primario e strategico per un Paese, in continuo divenire e necessariamente multidisciplinare.
Nel merito. Cosa dobbiamo migliorare nel comparto agricolo? Negli interventi strutturali? Nell’innovazione?
L’attività agricola italiana è molto variegata ed è rappresentata da tante forme: si va dall’impresa familiare, ai coltivatori diretti, alle cooperative fino ad arrivare a imprese più organizzate di tipo industriale. Da decenni il vero problema è strutturale in quanto, parlando in concreto, non si realizza la reale volontà politica di fare squadra con l’obiettivo strategico di dotare l’agricoltura italiana di un’unica voce costruttiva e coerente, quindi di maggior peso. Si raccolgono ovunque molte proteste, soprattutto dai piccoli agricoltori più che dalle grandi aziende, ma non c’è la volontà di costruire un grande cambiamento prendendo atto che il guaio principale dell’agricoltura italiana è la dannosa divisione. Dopo la Seconda guerra mondiale, nefasti opportunismi politico-partitici hanno diviso il mondo agricolo in almeno 3 grandi associazioni sindacali nazionali, e altre minori locali, causando uno sfilacciamento eccessivo dell’imprenditoria agricola italiana con perdita dell’unitarietà e del necessario peso politico nelle grandi decisioni nazionali e, più di recente, anche della UE. Se consideriamo la Francia, che insieme all’Italia è uno dei principali produttori ed esportatori agroalimentari europei a livello mondiale, vediamo che non ha fatto questo errore e il mondo agricolo francese ha grande peso nella politica nazionale del Paese. Basta ricordare che già negli anni Ottanta il Presidente François Mitterand inaugurava la Fiera agricola di Parigi facendosi immortalare sorridente ad accarezzare animali da reddito: un gesto semplice, ma di grande impatto, per il messaggio chiaro a far capire la compattezza dello Stato nel sostenere il ruolo e le istanze degli agricoltori. In Italia non è mai avvenuto nulla di simile e, al contrario, si possono elencare momenti in cui l’agricoltura nazionale viene demonizzata e attaccata solo con motivazioni ideologiche di parte. Come detto, gli agricoltori italiani non sono coesi in un unico corpo e non hanno la forza di farsi ascoltare e di far riflettere sulla negatività di interessi economici contrapposti quali, in particolare e non solo, i costi dei disastri ambientali avvenuti e i costi per il progressivo aumento negli anni delle importazioni di derrate alimentari dall’estero. Le maggiori importazioni di queste ultime, anche le più tradizionali quali le graminacee e le carni, sono dovute sia al calo delle produzioni nazionali sia ai prezzi più bassi legati alla sleale concorrenza a livello di costo/qualità e sicurezza delle materie prime nel mercato internazionale (in questi tempi anche parallelo). Ne consegue un ulteriore elemento di sfiducia nel lavoro agricolo che si rileva anche nel drammatico calo nel ricambio generazionale e, quindi, diventa indispensabile creare incentivi atti a favorire l’immissione di giovani nel settore, affrontato in primis a livello governativo per evitare una via di non-ritorno.
Si continua a parlare dei cambiamenti climatici e non siamo stati capaci in questi ultimi anni di ripulire un argine di un fiume.
Come sopra ricordato, l’Accademia Nazionale di Agricoltura conserva una ricchissima biblioteca storica con centinaia di volumi che, se studiati, potrebbero impedire avventate teorie o fraintendimenti. Andamenti climatici mutevoli e a cicli sono sempre avvenuti nella storia con alternanze di siccità gravi e precipitazioni eccessive. Basta ricordare che i Benedettini, nel Quattrocento, con studi e attività affrontarono il contenimento delle acque avviando opere di bonifica per proteggere la pianura padana dalle calamità alluvionali. Nei secoli il dramma della siccità viene riportato, ad esempio, nella Rivista “Giornale di Agricoltura” diretto dall’ingegnere Alessandro Ferretti (nel fascicolo Anno XXIV, Bologna 1887, pag. 439, Scampoli: storia del caldo) che ricorda come: “Nel 627 il caldo fu sì grande in Francia e in Germania che le sorgenti si essiccarono e un gran numero di persone morirono dalla sete” […] “Nel 1000 i fiumi si asciugarono; i pesci si putrefecero e ne risultò una peste” […] “Nel 1028 e nel 1132 il caldo fu sì terribile: il Reno rimase a secco in questo ultimo anno” […] “Il caldo eccessivo del 1832 produsse il colera in Francia, e 20 mila persone morirono nella sola Parigi” e tanto altro. Certamente per le calamità di tali epoche non possono essere messe sotto accusa l’attività antropica, l’agricoltura e l’eccesso di popolazione mondiale. Negli ultimi anni per ogni evento calamitoso vengono con solennità e severità richiamati i “cambiamenti climatici”, ignoranza di comodo e sbrigativa per non impegnarsi in più gravosi studi scientifici, difficili talvolta da essere capiti, spiegati e soprattutto non facilmente strumentalizzabili ai fini speculativi. Il ritornello di moda è diventato un facile condizionamento della popolazione, soprattutto se la si vuole indirizzare, tanto che nei media, e di conseguenza nell’utenza, le iniziali spiegazioni di illustri Scienziati si sono disperse nel vuoto assoluto e pochi vengono a consultare i testi nelle biblioteche storiche. Ad esempio, se pensiamo alle recenti alluvioni in Emilia-Romagna e in Toscana, sono avvenute a causa della totale mancanza di giusta manutenzione dei luoghi e, in particolare, dell’idoneo mantenimento della funzionalità degli alvei di contenimento, che non sono stati in grado di rispondere all’emergenza del momento. Infatti, se vengono costruiti immobili vicino ai fiumi senza lasciare il naturale spazio di deflusso dell’acqua, edificati argini sempre più alti per non procedere al dragaggio e alla pulizia degli alvei partendo da valle, se non vengono curati i boschi e abbandonate le colline questi problemi si ripeteranno a ogni pioggia abbondante. La Pianura Padana è di tipo alluvionale, ovvero nata dove prima c’era l’acqua, possibile che nessuno lo ricordi? I problemi di questo tipo ci sono sempre stati ma, troppo spesso, sono prevalse negli ultimi anni logiche ambientaliste rispetto a quelle ambientali: si pensa che non toccare, dare alla natura la possibilità di crescere indisturbata e favorire i nidi degli animali fossovori come le nutrie, che bucano gli argini dei fiumi, sia la scelta migliore per difendere l’ambiente. Ma quando succedono i disastri che abbiamo visto si può dire che l’ambiente è realmente tutelato? La risposta mi sembra ovvia.
Ne deriva che è indispensabile puntare quanto prima ad un vero e definitivo programma di sistemazione idrogeologica della pianura padana e delle aree nazionali che hanno denunciato gravi fragilità. L’Italia è un Paese a rischio sotto questo punto di vista e allora non bisogna sottovalutare come conseguenza la sfiducia nel proprio lavoro che sta negli ultimi tempi permeando tutto il mondo agricolo, principalmente per mancanza di reali politiche organiche a difesa del settore, se non spesso generate da provvedimenti penalizzanti emanati dalla UE. Un grave danno è stata la parcellizzazione dei territori e la selvaggia cementificazione di terreni fertili per mancanza di una programmazione integrata, fatti che portano spesso gli agricoltori a sperare che i loro terreni diventino edificabili così da ottenere un sicuro profitto. Continua a mancare una visione centralizzata per interrompere quel progressivo danno che renderà ancora più fragile il territorio per il continuo consumo di suolo, che altrimenti sarebbe ben organizzato in aziende, e per la perdita di vocazioni produttive e sociali in popolazioni che con l’agricoltura avrebbero possibilità di vivere. Chi si assumerà la responsabilità di tutto questo?
Coraggio e determinazione. Le Tea possono essere brillante opportunità?
Ho fatto delle grandi battaglie a favore delle biotecnologie e da Presidente della Società Italiana di Tossicologia ho promosso numerosi studi, producendo con altre 20 e più Società Scientifiche, in particolare, numerosi Consensus Document sul tema. In questo contesto va ricordato che, anche l’Italia, deve accogliere l’innovazione portata dalle tecniche biotecnologiche per superare i danni della politica green che impera nella UE. Sia per la tutela dell’ambiente sia per la sicurezza delle derrate alimentari è fondamentale che gli agricoltori italiani possano utilizzare piante geneticamente migliorate dalle biotecnologie, i cui prodotti alimentano il consumatore italiano da anni, con materie prime d’importazione, quali ad esempio mais, soia, cotone: di fatto è una scorretta competizione tra agricolture in epoca di globalizzazione. Oggi con l’avvento delle Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA) le biotecnologie aprono la speranza di far dimenticare la passata miopia autolesionista. Non va persa la preziosa opportunità di migliorare sia la produzione agricola sia di tutelare maggiormente l’ambiente con il genoma editing sviluppando anche in Italia la sperimentazione in campo, sconfiggendo i detrattori con contrapposizioni di parte e la scarsa conoscenza dei dati scientifici. Concludo ribadendo nuovamente che è indispensabile aumentare il sapere e non ragionare d’istinto seguendo pericolose e dannose mode spesso strumentali.
Abbiamo mille prodotti e cento produzioni. Ricchezza o ci disperdiamo?
L’Italia ha costruito nei secoli una grandissima ricchezza alimentare che non è solo correlata al gusto, ma anche a una corretta e sana alimentazione. Tuttavia, come accennato, non la stiamo tutelando a dovere sui mercati esteri, nonostante abbiamo le migliori eccellenze mondiali a livello agroalimentare e i controlli più stringenti e garantisti, che ne certificano l’assoluta sicurezza e qualità, non siamo incapaci di creare un blocco monolitico che vada tutto nella stessa direzione. A tal proposito permettetemi un ricordo personale. Nei primi anni Ottanta, quando ero professore in Texas all’Università di Galveston, aprì la catena commerciale “Fiesta” che, all’ingresso, aveva una grande forma di Parmigiano Reggiano dotato dell’indicazione “The real parmesan cheese”, e il prezzo era di $38,99 al pound. Una grande pubblicità per una nostra eccellenza. Peccato che vicino era posizionato anche il “Regianito”, che costava $23,99, e quindi veniva preferito da chi voleva acquistare un parmigiano. Quarant’anni fa non c’era una strategia globale di difesa dei nostri prodotti all’estero che oggi, invece, deve esistere perché l’interesse nazionale nella globalizzazione è quello di creare una strategia di tutela di marchi e prodotti delle nostre produzioni. La forza e la coesione la dobbiamo però in primis trovare all’interno del nostro Paese. Si può concludere ribadendo che la corretta comunicazione alimentare è in grado di responsabilizzare il consumatore nella sua consapevolezza, indirizzandolo a scegliere prodotti sani, sostenibili e legati al territorio che costituiscono un punto di forza della nostra economia agricola. Tuttavia, a livello UE vanno ottenute le dovute tutele, quale l’obbligo della dichiarazione sul prodotto della provenienza delle materie prime, per contenere la concorrenza sleale.
Mentalità e curiosità. Le imprese? La scuola? Insomma dove spingere?
Con la scuola, i giovani e la formazione professionale può essere ricostruito un futuro per l’agricoltura. L’Accademia Nazionale di Agricoltura, da anni, organizza il progetto “Attività formative e di orientamento per lo sviluppo socio-economico dell’Appennino” in collaborazione con gli Istituti Agrari della Città Metropolitana di Bologna, la preziosa disponibilità di Accademici, Docenti dell’Università di Bologna, Ufficiali dei Carabinieri Forestali Emilia-Romagna, Associazioni, Aziende del territorio e il sostegno economico della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Ogni anno gli studenti sono costantemente aumentati oltre i limiti e, per l’anno scolastico 2024-2025, sono stati attivati 7 corsi di studi, ai quali hanno partecipato ben 160 studenti, per un totale di 170 ore di lezione sia in laboratorio che in azienda. L’obiettivo è accompagnargli alla conclusione del percorso scolastico, aiutandoli ad operare una scelta professionale consapevole nell’ottica di un futuro lavorativo che, con la piena soddisfazione dello studente, abbia una ricaduta positiva sullo sviluppo delle comunità locali e dell’Appennino bolognese. I territori montani, affetti da fenomeni di spopolamento, devono riscoprire nuove prospettive di sviluppo grazie all’innovazione tecnologica, alla valorizzazione delle tradizioni locali e alla crescente attenzione verso la sostenibilità ambientale. A tal fine i corsi hanno obiettivi professionalizzanti come la coltivazione e l’estrazione delle piante officinali, la viticoltura e la frutticoltura in montagna, la gestione dei boschi, il vivaismo e, in ultima analisi, la gestione del suolo anche ai fini della sicurezza climatica. L’agricoltura montana si svolge in aree difficili, ma che hanno valenza sociale, economica, turistica e naturale nella consapevolezza, in particolare, che una montagna sana è il miglior antidoto alla salute della pianura e del suo ambiente. Il progetto è affiancato, inoltre, dal “Premio Filippo Re” e dal “Premio Nazionale Giuseppe Loizzo”, conferiti a studi agronomici di settore di specifica ricaduta ai temi sopra indicati, che sono diventati oggi due punti fermi per la ricerca agronomica in campo nazionale.
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Il Direttore,
Gianluca Cavicchioli