Dove nasce l’innovazione? Chiara Corbo: “Non basta adottare tecnologie, serve maturità digitale. Il vero progresso si misura sull’impatto reale nelle imprese”
L’impresa al centro dello sviluppo non solo economico ma anche sociale. I sinonimi di “invenzione” sono: ideazione, creazione, innovazione, scoperta, immaginazione, fantasia, estro. Insomma, l’energia che ci ha spinto fino qua. Questo l’incipit per Chiara Corbo, Direttrice dell’Osservatorio Smart Agrifood. Benvenuta. Proviamo a partire da qui.
L’Osservatorio Smart AgriFood. Dalle parole ai fatti. Preziosa lente d’ingrandimento e performance, eco per chi vuol fare.
L’Osservatorio è nato dieci anni fa all’interno del contesto degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, che da 25 anni conducono ricerche sugli impatti dell’innovazione digitale in diversi settori e contesti, analizzando svariate tecnologie. Il nostro è un osservatorio di settore: ci occupiamo di innovazione digitale nell’agroalimentare, sia nella fase di produzione agricola sia in quella di trasformazione, oltre che in maniera trasversale lungo tutta la filiera, ad esempio sui temi della tracciabilità e della qualità alimentare. Svolgiamo principalmente ricerca applicata: partiamo da metodologie accademiche, ma caliamo i risultati nel contesto concreto delle imprese. L’oggetto delle nostre ricerche è l’azienda; il nostro laboratorio è l’azienda stessa. Per questo i risultati devono essere concreti e pragmatici, in grado di offrire indicazioni utili a tutti gli stakeholder del settore. Ci rivolgiamo al mondo accademico, alle aziende agricole e alimentari che devono investire in innovazione, ma anche alle imprese che operano nel mercato delle soluzioni tecnologiche e a quelle che promuovono prodotti e servizi per il settore AgriFood: dai produttori di sementi, fertilizzanti e agrofarmaci, alle società di consulenza, assicurazioni e banche. Il mondo agricolo e alimentare, infatti, interessa un ampio spettro di attori. L’innovazione digitale nel settore non riguarda solo chi produce il cibo, ma anche tutti gli stakeholder che ne fanno parte. Oltre alla ricerca applicata, uno degli elementi che ci distingue è l’attività di divulgazione: creiamo occasioni di confronto attraverso eventi, sia a porte chiuse che pubblici. Il nostro obiettivo è promuovere l’innovazione anche facendo sedere allo stesso tavolo – in un contesto competitivo – tutti gli attori della filiera, favorendo il progresso attraverso il dialogo e lo scambio.
Zicchichi docet. Possiamo molto ma…Cosa manca per essere davvero performanti?
Dal nostro punto di vista, come Osservatorio, siamo nati proprio con l’obiettivo di passare dalla teoria alla pratica. Il nostro approccio, che prevede non solo la ricerca, ma anche il coinvolgimento diretto degli attori del settore e l’applicazione concreta dei risultati nelle aziende – che diventano così veri e propri laboratori di sperimentazione – ci permette di essere estremamente pragmatici ed efficaci. Se però ci chiediamo cosa manca ancora per tradurre efficacemente i risultati della ricerca nella realtà operativa delle imprese, emergono alcuni elementi chiave. Da parte delle aziende agricole, è fondamentale acquisire una maggiore consapevolezza dei benefici reali che l’innovazione può portare. Dall’altro lato, le aziende che offrono soluzioni innovative devono comprendere meglio i bisogni concreti delle aziende agricole. In sostanza, serve un dialogo più profondo e costruttivo tra tutti gli attori della filiera: solo attraverso la comprensione reciproca e la condivisione delle esigenze sarà possibile spingere davvero l’innovazione e rendere le aziende più performanti, a tutti i livelli.
Da quella laurea all’Università di Bari è cambiato qualcosa?
Sì, assolutamente sì. Sono passati più di quindici anni e, da neolaureata, oggi sono Direttrice di due Osservatori del Politecnico di Milano. È stato un percorso fatto di tanta formazione che non si è certo fermata con l’università: c’è stato il Dottorato in Università Cattolica, due master… l’ultimo dei quali, ad esempio, conseguito ancora lo scorso anno! In questi anni sono cresciuta molto, sia in termini di competenze che nella profondità e nell’impatto del mio lavoro. Lavorare negli Osservatori da così tanto tempo mi ha permesso di contribuire a un’attività di ricerca orientata ad avere ricadute concrete sul mondo reale. Quello che invece non è mai cambiato è la curiosità che mi ha sempre guidata. Fare ricerca, per me, è quasi una “scusa ufficiale” per dare voce a questa mia curiosità: la voglia di approfondire, di andare oltre i compiti assegnati, di esplorare. In fondo, quel desiderio di conoscenza che avevo all’università è ancora vivo oggi.
Agricoltura 4.0. Possiamo dire che…
Possiamo affermare che, in Italia, una quota significativa di agricoltori utilizza soluzioni di Agricoltura 4.0: siamo intorno al 40% di adozione. Si tratta quindi di un dato rilevante, supportato da un mercato che vale circa 2,3 miliardi di euro. Non parliamo, dunque, né di una nicchia né di un fenomeno marginale. È un mercato estremamente variegato: si va da piattaforme di supporto alle decisioni più o meno avanzate, fino a soluzioni basate su intelligenza artificiale, droni, robotica, macchinari connessi, sistemi di mappatura e monitoraggio dei suoli e delle colture. Un panorama tecnologico in continua evoluzione, che negli ultimi anni ha visto una crescita importante, sia in Italia sia a livello globale. Quest’anno, tuttavia, il settore ha registrato qualche rallentamento, dovuto a fattori congiunturali legati al contesto agricolo e agroalimentare. In particolare, si è osservato un calo negli investimenti in Agritech e nei nuovi macchinari, dovuto anche alla riduzione degli incentivi pubblici. Ma attenzione: non stiamo assistendo a un rallentamento del mercato in sé, bensì a una nuova consapevolezza e un cambiamento nelle motivazioni che guidano gli investimenti. Gli imprenditori agricoli oggi sono più consapevoli del valore strategico dell’innovazione e investono con maggiore attenzione e selettività. Se da un lato sono diminuiti gli acquisti di trattori e macchinari connessi, dall’altro sono cresciuti gli investimenti in soluzioni digitali e tecnologiche a minor costo, ma con un impatto significativo. C’è però ancora molto da fare, soprattutto sul fronte dell’adozione: non tutte le aziende agricole stanno innovando. Chi ha già iniziato ad adottare tecnologie tende a continuare e ad accelerare; chi invece non ha ancora intrapreso questo percorso spesso resta fermo. È proprio su questo divario che bisogna lavorare, affinché l’innovazione diventi davvero inclusiva e diffusa lungo tutta la filiera agricola.
La tracciabilità e la qualità agroalimentare sono davvero concetti conosciuti e convincenti?
Direi di sì, anche se molto dipende da chi è l’interlocutore. In Italia, in particolare, qualità agroalimentare e tracciabilità rappresentano dei veri e propri pilastri del Made in Italy. Il prodotto italiano è percepito come sinonimo di qualità, e la tracciabilità contribuisce a rafforzare questa percezione. Sono due concetti generalmente ben conosciuti e, in molti casi, convincenti. C’è grande attenzione su questi temi da parte dei consumatori. Chiaramente questo interesse non ha lo stesso impatto sulle scelte di acquisto per tutti: un po’ come avviene per la sostenibilità, anche qualità e tracciabilità sono apprezzate, anche se il prezzo rimane un fattore molto importante; ma in ogni caso c’è un interesse forte e crescente sui temi della tracciabilità e della qualità. La tracciabilità, va ricordato, è un requisito obbligatorio per legge: tutte le aziende devono rispettare determinati standard minimi. Tuttavia, oggi molte imprese stanno scegliendo di andare oltre questi obblighi, offrendo livelli più avanzati di tracciabilità, per valorizzare ulteriormente il prodotto. Questo però comporta spesso costi e impegni significativi. Ed è proprio qui che il digitale può fare la differenza. Le tecnologie digitali possono ridurre i costi legati alla raccolta, gestione e analisi dei dati, semplificando i processi e migliorando l’efficienza. Inoltre, permettono di condividere in modo trasparente queste informazioni con il consumatore finale, aumentando la fiducia e la percezione di qualità del prodotto. In sintesi, il digitale può essere un alleato fondamentale per rendere la tracciabilità non solo più efficace, ma anche più sostenibile dal punto di vista economico per le imprese. E, al tempo stesso, più significativa per i consumatori.
Oltre mille anni fa si diceva che…la necessità è la madre dell’innovazione…
E in effetti è proprio così. Restando nell’ambito del digitale, noi ripetiamo spesso che il digitale non è un fine, ma uno strumento. Sono le necessità concrete che spingono verso l’adozione di soluzioni innovative. Nel settore agricolo, ad esempio, abbiamo osservato come molte aziende abbiano scelto di adottare soluzioni di Agricoltura 4.0 proprio per rispondere a esigenze ben precise: la necessità di avere un maggiore controllo sulle attività aziendali, la necessità di ridurre l’uso di agrofarmaci e fertilizzanti, o più in generale degli input produttivi, sia per motivi normativi sia per obiettivi di sostenibilità ambientale. Quando si cerca di mantenere o migliorare la produttività senza compromettere la sostenibilità, emerge il bisogno di strumenti in grado di bilanciare questi aspetti. È qui che entrano in gioco le innovazioni, come ad esempio le mappe di prescrizione: tecnologie che permettono di mappare la variabilità all’interno dei campi e di gestire in modo più preciso e mirato i nutrienti. Questo approccio consente di ridurre l’impatto ambientale senza sacrificare la resa produttiva. Al contrario, quando le innovazioni vengono proposte senza rispondere a un bisogno concreto, senza un reale legame con le problematiche degli agricoltori o dell’intero settore agroalimentare, difficilmente riescono ad affermarsi o a generare valore. In sintesi, è proprio dalla necessità che nasce l’innovazione efficace: quella che trova spazio, funziona, e viene adottata perché risolve problemi reali.
Su cosa dovremmo concentrarci nel settore agroalimentare?
Ci sono diversi temi cruciali su cui è importante focalizzare l’attenzione. Tra questi, senza dubbio, le innovazioni legate all’intelligenza artificiale, la valorizzazione dei dati, la creazione di spazi di dati condivisi e, in generale, la possibilità di restituire valore ai dati in modo concreto agli agricoltori. Un punto fondamentale è rafforzare il dialogo tra chi sviluppa soluzioni tecnologiche e chi poi dovrà utilizzarle, coinvolgendo anche tutti gli attori che ruotano intorno al settore. Dobbiamo davvero lavorare come un ecosistema, concentrandoci sui problemi reali da risolvere e mettendo al centro le esigenze degli utilizzatori finali. È altrettanto importante riuscire a dimostrare, con dati alla mano, quali siano i benefici tangibili dell’innovazione. Solo così si può generare fiducia e spingere le imprese ad adottare nuove soluzioni. Questo è proprio uno degli obiettivi che perseguiamo con il lavoro dell’Osservatorio: raccogliere, analizzare e restituire dati concreti sull’impatto delle innovazioni. Perché, in assenza di evidenze chiare, l’innovazione rischia di restare un investimento incerto, poco comprensibile o poco prioritario per molti agricoltori. Al contrario, quando si riesce a dimostrare in modo oggettivo i vantaggi — economici, ambientali, produttivi — le soluzioni tecnologiche possono davvero prendere piede e portare valore all’intero settore.
Il prossimo progetto e la sicura scommessa da vincere?
Tra i temi più caldi e rilevanti per il futuro del settore agroalimentare c’è sicuramente l’intelligenza artificiale. Non si tratta solo di individuarne le possibili applicazioni, ma soprattutto di comprendere quali siano i risvolti concreti, le reali opportunità e anche i potenziali rischi legati al suo utilizzo nel mondo AgriFood. La vera scommessa da vincere è fare chiarezza: chiarire dove e come l’IA può essere applicata in modo efficace, quali benefici può portare, e quali precauzioni è necessario adottare per un uso consapevole e sostenibile. Un altro tema fondamentale su cui dobbiamo lavorare riguarda i dati. L’agricoltura è una vera e propria miniera di dati: ogni giorno gli agricoltori generano una quantità enorme di informazioni, spesso ancora sottoutilizzate. La sfida è duplice: da un lato, riuscire a valorizzare questi dati in modo intelligente, dall’altro, garantire che gli agricoltori siano tutelati nella condivisione dei dati stessi, affinché possano ottenere un ritorno reale — economico ma anche strategico — dalla loro generazione. In definitiva, il futuro del settore passa dalla capacità di costruire fiducia intorno all’innovazione, di creare modelli sostenibili di gestione e condivisione dei dati e di rendere davvero accessibili e comprensibili le tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale.
Proiettiamoci nel prossimo Osservatorio Smart. Saremo sicuri che….
Continueremo a lavorare con determinazione sul tema dell’adozione del digitale in agricoltura, con un approccio sempre più ampio e consapevole. Ma la vera scommessa da vincere sarà un’altra: quella della maturità digitale degli agricoltori. Infatti, se oggi possiamo dire che circa il 41% degli agricoltori utilizza soluzioni di Agricoltura 4.0, non possiamo però fermarci a questo dato. L’adozione di una tecnologia, da sola, non è sufficiente per parlare di vera maturità digitale. Acquistare o utilizzare una soluzione non equivale ad aver compreso appieno le potenzialità del digitale, né ad averne integrato l’utilizzo in modo strategico. Secondo i dati, meno del 10% degli agricoltori può essere considerato realmente maturo sotto il profilo digitale. Questo ci indica chiaramente che c’è ancora molto da fare. Dobbiamo lavorare su più fronti: sulle competenze, sulla formazione, sulla gestione e valorizzazione dei dati, e sulla capacità di cogliere le opportunità offerte dall’innovazione. CI impegneremo a fondo per accompagnare il settore verso una crescita solida, non solo in termini di adozione, ma soprattutto in termini di consapevolezza, cultura digitale e capacità di generare valore reale e duraturo.
Proprio non sopporto chi…
Dal punto di vista personale, non sopporto gli ignavi, coloro che non prendono posizione, che evitano di decidere o di esporsi. L’indecisione costante, l’assenza di direzione e responsabilità. Dal punto di vista professionale, invece, fatico a tollerare l’approccio antiscientifico. Forse è inevitabile, vista la natura del mio lavoro, ma trovo davvero frustrante quando si diffondono notizie infondate, si mettono in discussione verità consolidate senza basi solide, o si ignorano anni di ricerca con superficialità. Pur mantenendo sempre il beneficio del dubbio — che è alla base stessa del metodo scientifico e del nostro ruolo di ricercatori — quando si scivola nel negazionismo o nell’attacco cieco alla scienza, il confronto si svuota di senso.
Se non avesse fatto la ricercatrice?
Le opzioni sarebbero state diverse. Da bambina sognavo di fare l’interior designer: avevo intere agende piene di schizzi e prototipi di arredi disegnati da me. Crescendo, ho sviluppato un forte interesse per il mondo interiore dei bambini, tanto da considerare la psicologia infantile come possibile strada professionale. Mi affascinava — e mi affascina ancora — l’idea di comprendere i meccanismi emotivi e cognitivi dei più piccoli.
Allora appuntamento all’Osservatorio 2026. Noi ci saremo
Il Direttore,
Gianluca Cavicchioli