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Climatismo ed evoluzione della finanza climatica. Diamo il benvenuto al Professore Mario Giaccio

Dic 11, 2023 | Apertis Verbis, Novità

Siamo onoratissimi di dare il benvenuto ed un cordiale saluto al Professore Mario Giaccio.

Ci siamo conosciuti grazie ad una nostra iniziativa, apprezzata dall’illustre ospite. Di questo ne facciamo motivo di vanto e ci onoriamo di aver così attirato l’attenzione su tematiche che definiremo pressoché quotidiane, divenute spartiacque fra “la fine del mondo” ed interessi non meritori per come si dipingono.

Carissimo Professore, allora, già nel 1970 si dava quasi certa la fine del mondo se non si interveniva. Di acqua sotto i ponti ne è davvero passata molta, ma siamo sempre qua? Ci dica cos’è accaduto?

È vero, i pronostici della fine del mondo risalgono agli inizi degli anni ’70. Tale concetto era parte di un movimento neomalthusiano proposto dal cosiddetto “Club di Roma” e descritto ne “I Limiti dello Sviluppo” del 1972.  Il climatismo, propagandato dalle Agenzie dell’ONU, ha ripreso le idee del Club di Roma. Infatti nel 1987 uscì il Rapporto Our Common Future della Commissione Internazionale ONU su Ambiente e Sviluppo, presieduta da Brundtland, dove veniva precisato, definito e promosso il concetto di sviluppo sostenibile come “lo sviluppo che incontri i bisogni del presente, senza compromettere le possibilità per le future generazioni di incontrare i loro bisogni”. Per la prima volta, in un importante documento dell’Onu, veniva stabilito un nesso negativo tra popolazione e sviluppo-ambiente. Fra gli obiettivi del rapporto vi era quello di spiegare come la presenza dell’uomo (la sovrappopolazione) e la sua attività (sviluppo dei paesi ricchi) hanno conseguenze negative per l’ambiente. Le analogie tra l’ideologia del “Club di Roma” e quella del climatismo sono impressionanti. In ambedue i casi, si usano dei modelli matematici in grado di prevedere un futuro catastrofico. Si propongono modifiche ai comportamenti umani che dovrebbero permettere all’umanità di sfuggire ai pericoli che la minacciano. C’è una concezione negativa dell’uomo, descritto come il verme che mangia la mela in cui vive. E’ finalizzata non alla salvezza del pianeta ma a quella di patrimoni elitàri, al controllo dell’economia attraverso la crescita zero “degli altri”! I risultati del Club di Roma sul destino dell’umanità prevedevano che, se la popolazione mondiale avesse continuato ad aumentare con il tasso di crescita di quegli anni, con l’aumento dell’inquinamento, sarebbe diminuita la disponibilità delle risorse e delle materie prime e si sarebbe andati incontro ad una catastrofe planetaria. Il Club di Roma fissò delle date per il probabile esaurimento di alcune delle principali materie prime; ovviamente dopo più di 50 anni nessuna di tali previsioni catastrofiche si è avverata. Anche nel caso del Rapporto Brundtland, come per il Club di Roma, la catastrofe non costituisce un avvenire ineluttabile, ma soltanto un avvenire possibile, quindi evitabile. Basta attenersi a dei precetti di comportamento. Il grido di allarme dell’ideologia climatica è uno strumento di educazione alla salvezza in risposta ad una pedagogia della paura. L’Agenda 2030 contiene un’ulteriore novità: in essa viene espresso un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo. In questo caso però, oltre all’aspetto ambientale, viene posto l’accento anche sull’aspetto economico e sociale, superando in questo modo l’idea che la sostenibilità sia unicamente una questione ambientale e affermando una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo. È l’aggiornamento in funzione oligarchico-finanziaria dell’ideologia malthusiana presente nel rapporto Brundtland. Poiché le risorse sono considerate come “date” o “finite”, mentre la popolazione può crescere in modo esponenziale, per mantenere un equilibrio fra risorse e popolazione l’unico modo è di limitare la popolazione, altrimenti l’attuale modello di sviluppo diventa insostenibile. Per bloccare lo sviluppo bisogna diminuire i consumi di energia. L’energia entra in qualsiasi processo di sviluppo: la grande disponibilità di energia (a basso costo) ha prodotto il “benessere materiale” dell’Occidente a partire dal XIX secolo. Poiché i combustibili fossili soddisfano l’80% della domanda energetica mondiale, l’idea è di abolire i combustibili fossili. È utile fare un’ulteriore precisazione. Gli scenari del Club di Roma avevano premesse più articolate: si faceva riferimento alle risorse naturali ed energetiche, alla popolazione, all’inquinamento, alle disponibilità alimentari, alla produzione industriale, cercando di portare un equilibrio fra tutte queste variabili. L’ONU invece racchiude in un solo parametro “l’anidride carbonica emessa dalle attività umane”, tutte le possibilità di condanna o di salvezza dell’umanità. Appare come un antropocentrismo spropositato, sembra che tutta la Terra sia un organismo stazionario e soltanto l’uomo sia in grado di far variare questo stato idilliaco del pianeta.

Se osserviamo bene, se leggiamo attentamente i dati, non possiamo che affermare che forse, tutto sommato, la terra è più verde e fertile, gli uomini più ricchi e longevi, i fenomeni meteo meno violenti e distruttivi. I dati appunto. Attenzione a come si scrivono, si leggono e si divulgano.

Gli ultimi decenni sono caratterizzati da andamenti mondiali favorevoli all’umanità, se è vero che l’uomo influisce sui cambiamenti climatici i risultati globali sono molto positivi (vedi “Il cambiamento climatico in otto grafici”).

La CO2, prima imputata. Ci faccia capire meglio?

In base a modelli matematici deterministici di previsione, sviluppati dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), si tende ad imporre alle persone dei comportamenti a livello globale. Sono stati sviluppati un centinaio di modelli, alcuni molto catastrofici altri meno, quale dei modelli si dovrà scegliere per attuare le politiche climatiche? Ammesso che ce ne sia uno esatto, gli altri 99 saranno sbagliati! Come si fa a scegliere? Questi modelli non solo validati, ossia applicati al clima del passato non lo riproducono, ad es: non riproducono il caldo medievale o la piccola età glaciale. Se si confrontano i dati sperimentali rilevati dai satelliti e dai palloni sonda, negli ultimi trent’anni, essi hanno un andamento difforme dai modelli. Uno dei motivi per cui questi modelli non riproducono i dati reali è che non tengono in debito conto gli aspetti variabili dell’irraggiamento solare; essi considerano invece l’effetto serra dell’anidride carbonica come il parametro di maggior peso. Ma se si considera la quantità di CO2 presente nell’atmosfera e sulla superficie dell’oceano, quella emessa dall’uomo è irrisoria. Le politiche attuate dall’Europa sono inutili, infatti:

– anidride carbonica presente in atmosfera = 3.000 Gt (Gt = miliardi di tonnellate).

– anidride carbonica presente sulla superficie dell’oceano = 3.760 Gt.

– CO2 emessa dall’uomo (2021) 33,9 Gt (1,13%).

– CO2 emessa dall’Europa 2,7 Gt (miliardi di tonnellate) ossia l’8% delle emissioni globali, questa quantità rappresenta lo 0,09 % di tutta l’anidride carbonica presente nell’atmosfera (lo 0,04% se si tiene conto anche dell’oceano).

L’Europa, nella conferenza di Parigi del 2015, dichiarò di voler ridurre del 40% le emissioni dovute alle grandi industrie energivore entro il 2030. Le attività produttive soggette alla riduzione sono il 50% circa. Quindi il 40% del 50% dello 0,09% è uguale a 0,018 % (in 10 anni!). Nell’atmosfera ci sono 420 ppm di CO2, lo 0,018% di 420 è 0,075 ppm. Quindi la finalità dell’Europa è di impedire che l’attività antropica faccia incrementare la CO2 da 420 ppm a 420,075 ppm, in dieci anni. Ovvero 7,5 parti per miliardo all’anno! Anche se la proposta si realizzasse, il risultato sarebbe “invisibile”, infatti questa quantità non è misurabile. Una volta stabilito che i combustibili fossili “fanno male al clima” i grandi gruppi finanziari hanno visto in questa politica un mezzo per estrarre “nuovo oro”, come si è espresso l’Istituto Internazionale della Finanza e come ben ha detto Nicholas Stern (già responsabile economico della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo), a conclusione della Conferenza delle Parti di Parigi (COP 21): “Gli investitori mondiali chiedono: grande possibilità di investimenti, buoni profitti e libertà di azione”. “Dal summit esce con chiarezza la direzione che sta prendendo l’economia. Chi oggi vorrà fare investimenti dovrà convincersi che sarà il settore a basse emissioni a dare profitti, mentre il settore delle fonti fossili comporterà grandi rischi finanziari”. “Gli investitori vedono nel cambiamento climatico la nuova svolta economica da cui estrarre valore”. La cifra in gioco è di migliaia di miliardi di dollari e vi partecipano i principali miliardari del mondo (le più grandi banche e assicurazioni, le più grandi imprese minerarie, siderurgiche, chimiche e petrolifere). Attualmente vi è convenienza ad investire in questa trasformazione in quanto il mercato energetico è “drogato” dai sussidi che gli Stati elargiscono alle fonti rinnovabili discontinue (solare e eolico).

Le fonti rinnovabili. Qui chiediamo aiuto alla matematica. Una soluzione costosa e poco efficace. Ma l’Europa sta investendo notevolissime risorse economiche e disinvestendo in ricerca e sviluppo. Qualche paese non crede ai suoi occhi? Possibile che siamo così miopi?

Lo sviluppo delle fonti rinnovabili è legato ai sussidi di Stato, a causa del loro elevato costo di produzione. Specialmente l’eolico e il fotovoltaico che forniscono energia per poche ore all’anno. Infatti se si consultano le statistiche della produzione elettrica in Italia sull’Annuario di Terna (gestore della rete elettrica) si osserva che in questi ultimi venti anni nonostante la potenza installata (di eolico+fotovoltaico) sia decuplicata, le ore di funzionamento degli impianti sono sempre le stesse, intorno alle 1300 ore all’anno. È ovvio: se i pannelli solari installati sono 10 o 100 o 1000, le ore di funzionamento non cambiano, di giorno producono, di notte no, analogamente per gli impianti eolici (funzione del vento). È necessario sapere come coprire le 7400 ore restanti per il fabbisogno annuale.  Per rendersi conto dei costi delle rinnovabili discontinue (solare – eolico) è emblematico il caso della Germania: l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici installati nel 2004, ha un prezzo garantito 10 volte superiore al prezzo dell’elettricità all’ingrosso in Europa, ossia tra 460 e 570 euro al MWh (fino al 2024); quella degli impianti installati nel 2010, ha un prezzo garantito tra 280 e 380 euro al MWh (fino al 2030). Fino al 2019 il prezzo dell’elettricità all’ingrosso in Europa si aggirava intorno ai 30 – 60 euro per MWh; dall’ottobre del 2020 il prezzo è salito intorno ai 180 euro. L’apporto di energia fotovoltaica è stato quasi inesistente: 1’1,3%. La Germania ha speso 500 miliardi di Euro per la transizione energetica ma, ad oggi, l’energia elettrica è prodotta, per il 67%, con i combustibili fossili. Per l’eolico i sussidi sono più contenuti, essendo superiori del 50 – 80% all’attuale prezzo di mercato dell’elettricità. Il prezzo della bolletta elettrica nei Paesi europei è in funzione della penetrazione delle fonti rinnovabili: i consumatori tedeschi pagano 30 c€ per kWh, gli ungheresi 10 c€. I grandi produttori di turbine eoliche hanno avuto pesanti perdite nei primi nove – dieci mesi del 2023. La Siemens ha chiesto 7 miliardi al governo tedesco.

  Perdite (2023) Perdite valore azionario Ottobre 2023 Perdita di capitalizzazione
General Electric (USA) $ 1 miliardo    
Siemens Energy (Germania) € 4,5 miliardi Borsa Francoforte = 40% € 3 miliardi
Ørsted (Svezia) € 5,3 miliardi Borsa Copenhagen = 20%  

Disinvestire nella ricerca e nello sviluppo delle fonti fossili vuol dire favorire le economie cinesi e russe; la Cina mette in funzione decine di centrali a carbone all’anno. La decarbonizzazione delle società occidentali aumenta il potere di mercato dei produttori non occidentali (Russia, Cina), consente una rivalutazione delle fonti energetiche di questi ultimi con grave danno per le economie e la sicurezza dell’Occidente. Se una merce è richiesta dal mercato la domanda non termina se qualcuno decide di non produrla più.

Accusati di negazionismo? Quello che ci preme davvero è il confronto, la discussione. In fin dei conti decidiamo non solo per noi ma anche per le future generazioni. Non possiamo “scomodare” la scienza solo a “nostro” comodo. Quello che ci permette di crescere è il dubbio, esso è l’inizio della conoscenza (come diceva Cartesio).

Nella scienza vi è dibattito, confronto o dissenso, vi sono ricerche importanti o meno importanti, ricerche oneste o truccate. L’attribuzione di un pensiero negazionista è, da parte di chi lo da’, un giudizio politico (e non scientifico) e viene applicato proprio perché (o è la prova che) il climatismo è un fatto politico e non scientifico. Per sostenere che una congettura è vera, è necessario il consenso tra i fatti, non tra le persone. Non confrontarsi non è un’argomentazione. Quello che ha permesso alla scienza di progredire è il dubbio, come appunto diceva Cartesio. Tutti gli inviti ad un pubblico confronto scientifico sulle problematiche climatiche, da tenersi in sedi istituzionali o anche politiche, non hanno avuto risposta.  Né i vari promotori di appelli sul clima, né l’Accademia dei Lincei, neanche dopo un’interrogazione parlamentare, hanno mai accettato il confronto. Sembra che il Climatismo si stia trasformando da ideologia a religione e quindi, come atto di fede, non sia più discutibile.

In un solo colpo siamo riusciti a nobilitarci in graduatorie che fino a pochi giorni orsono erano davvero deficitarie. Certo che c’è un sottile filo conduttore con interessi ben più concreti e meno meritori. Il “vil danaro” ?

A fronte della sopra riportata irrilevante diminuzione di CO2 auspicata dall’Europa, la circolazione monetaria annua (in Europa), legata direttamente o indirettamente alle politiche climatiche, è la seguente

  • Mercato del carbonio (nel 2022)           € 753 miliardi
  • Sovvenzioni energie rinnovabili (2020) € 81 miliardi
  • Carbon-tax produz. di energ. elettrica € 55 miliardi
  • Assegnazione quote gratuite

(ogni anno fino al 2030, ai prezzi attuali)       € 60 miliardi

  • Per combattere i cambiamenti climatici

               (spese annue per il periodo 2021-2027)         € 52 miliardi

  • Recupero secondario del petrolio                  € 10 miliardi

Per un totale di oltre 1.000 miliardi di euro all’anno

                                                                                                                  

Tenendo conto della quantità di CO2 da ridurre, i meccanismi economici e finanziari messi in atto sembrano senz’altro spropositati. È evidente che non possono avere effetti sul clima. Sembrano verosimilmente delle politiche finanziarie. Le azioni imposte dall’Europa nell’ambito della politica green sono inutili, fanno soltanto aumentare i costi di produzione, facendo impoverire i cittadini europei. A livello globale, fra i tanti esempi, si può fare riferimento alla politica finanziaria Net Zero, concordata in occasione della COP 26 di Glasgow (Glasgow, 31 ottobre – 12 novembre 2021). A parte i buoni propositi circa i gas serra, le fonti rinnovabili, ecc. l’unico risultato concreto raggiunto a Glasgow è stato l’accordo finanziario. Infatti è stata ribadita la Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ), che è una coalizione di grosse istituzioni finanziarie, promossa nell’aprile del 2021, per supportare la Race to Zero delle Nazioni Unite; essa si impegna ad accelerare la decarbonizzazione dell’economia mondiale ed a raggiungere le emissioni zero entro il 2050. Michael Bloomberg (patrimonio stimato 59 miliardi di $), copresidente della GFANZ, ha dichiarato: “Vincere la battaglia contro il cambiamento climatico richiederà grandi quantità di nuovi investimenti e la maggior parte dovrà provenire dal settore privato. I leader della finanza hanno forti incentivi ad agire e, sotto la guida di Mark Carney e Nigel Topping, . . . .”Mark Carney (già Presidente della Banca d’Inghilterra) ha dichiarato: “L’architettura del sistema finanziario globale è stata trasformata per arrivare a zero emissioni… abbiamo gli strumenti per spostare il cambiamento climatico dai margini all’avanguardia della finanza in modo che ogni decisione finanziaria tenga conto del cambiamento climatico… le aziende possono fornire i piani di transizione e i governi devono definire politiche prevedibili e credibili. Ciò darà al finanziamento la fiducia necessaria per investire”. Lo ribadisce Nigel Topping (rappresentante del governo britannico per la COP 26): “Il sistema finanziario è pubblicamente impegnato a riallineare i modelli di business con la scienza del clima…abbiamo bisogno che i governi aiutino a portare a termine il lavoro, con politiche ambiziose che possano aiutare ad indirizzare gli investimenti dove è necessario”. Ossia: i governi devono finanziare le fonti rinnovabili per permettere ai fondi d’investimento privati di fare investimenti sicuri. Questi investimenti privati sono in contraddizione con la redistribuzione della ricchezza mondiale, che dovrebbe essere lo scopo di uno Stato sociale. Affrontare gli effetti sociali di una presunta catastrofe ambientale, provocata dai combustibili fossili, è compito della politica legislativa ed economica dei governi e non dei fondi d’investimento; i governi (allorché eletti democraticamente) rappresentano tutti i cittadini, i fondi d’investimento rappresentano soltanto le élite che investono. In definitiva, attraverso la Glasgow Financial Alliance for Net Zero, più di 100 trilioni di dollari di capitale privato sono impegnati a trasformare l’economia a “zero emissioni” e rafforzare gli strumenti necessari al sistema finanziario per sostenere la trasformazione globale dell’economia. Quindi, per capire chi governa il clima: “follow the money”.

Possibile che facciano notizie solo le cose nefaste e catastrofiche?

Il timore di una catastrofe non è nuovo, ma è, in generale, una costante delle diverse società. Il grande antropologo Ernesto De Martino diceva che la tragedia è un fenomeno culturale e che le diverse società differiscono rispetto a ciò che, per esse, appare tragico. L’apocalisse per antonomasia è l’Apocalisse Cristiana (“Pentiti, poiché il regno di Dio si avvicina”), poi c’è quella marxista relativa alla fine della società classista, e così via. Oggi abbiamo quella che si può chiamare l’apocalisse ecologica: “Viviamo in una situazione apocalittica,…alla soglia d’una catastrofe universale”, afferma Hans Jonas, autore di riferimento per i movimenti ecologici degli anni ottanta e Aldous Huxley scriveva: “la paura è la base stessa ed il fondamento del mondo moderno”. Le situazioni apocalittiche hanno un’importante caratteristica: non arrivano mai ad un termine, infatti l’analisi storica rivela che la mancata realizzazione delle profezie catastrofiche non mette fine alle profezie. Il continuo succedersi di previsioni catastrofiche globali, e delle relative puntuali smentite, non provoca rigetto nei media e nell’opinione pubblica, i quali sono ogni volta sempre pronti a mobilitarsi (anche se prevalentemente in modo virtuale). L’esperienza insegna che in campo ambientale, in cui non vi è una domanda libera sul mercato dei beni ambientali, la realizzazione delle politiche ecologiche deve essere sollecitata dalla minaccia di catastrofi. Il villaggio globale, prigioniero delle grandi reti di informazione, accetta acriticamente le conoscenze omologate sui temi di attualità come il riscaldamento globale. Il convincimento di massa su tale fenomeno si basa sugli strumenti della sociologia e della psicologia sociale, più che sulla conoscenza. Infatti un saggio fondamentale (del 2004) di Emilio Gerelli si intitola: “Al di là della scienza: perché l’opinione pubblica ha bisogno di credere nel riscaldamento globale?”. Oltre all’impiego della psicologia sociale, tesa a stimolare il convincimento acritico sul tema del riscaldamento globale, sono presenti altri interessi (a parte quelli economici): quello degli ecologisti, che drammatizzano il ruolo di difensori dell’ambiente; quello dei politici preposti alle politiche ambientali, che aspirano al consenso politico enfatizzando i problemi loro affidati; quello dei mass media, sempre sollecitati a coinvolgere le persone su temi drammatici che suscitano paure durature e profonde.

Nelle Sue esperienze, davvero molte e qualificanti, ne ricorda una con particolare piacere?

Fondamentalmente il rapporto con i miei studenti e la mia soddisfazione quando apprendevo che essi avevano raggiunto traguardi alti nella società.

Abbiamo citato i giovani. Un consiglio spassionato?

Studiare molto, liberarsi dai pensatori unificati, mantenere sempre un pensiero critico.

Su cosa sta lavorando?

Sempre sull’evoluzione della finanza climatica che è molto complicata e i cui parametri sono sfuggenti e variano di giorno in giorno.

Curiosità ed innovazione. Abbiamo fatto qualche giorno fa una bella iniziativa. Le leve del vero progresso?

Una notevole iniziativa fuori dal coro, penso che ce ne saranno sempre di più perché le persone sono sempre più scettiche circa le politiche climatiche europee. 

Per ultimo, un auspicio ed un ammonimento?

Auspico che il problema climatico venga ricondotto in ambito scientifico con un confronto scientifico e non che venga imposto come un dogma. L’unica speranza di ricondurre il dibatto sul clima in ambito scientifico è che la grande finanza smetta di interessarsi al clima.

La salutiamo con deferenza e stima. L’aspettiamo fin d’ora per vedere se riusciremo a colmare il mezzo bicchiere che mancava.

Il Direttore,

Gianluca Cavicchioli

 

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