In primo piano

Ripartire dall’agricoltura e dagli imprenditori agricoli. Intervista a Antonio Boschetti direttore de L’Informatore Agrario

Ott 30, 2023 | Apertis Verbis, Novità

Primissimo dopoguerra: periodo di grande smarrimento, umano e produttivo. Da dove ricominciare e in che modo?  Ripartiamo dall’agricoltura: con quale certezza però?

Cercò di dare risposte a queste poche ma fondanti domante Alberto Rizzotti dando vita a “L’Informatore Agrario”. Da allora di tempo ne è passato. Ma lui, L’Informatore, è sempre sulla nostra scrivania pronto a dare un suggerimento o ricordarci cosa fare e cosa no.

Abbiamo detto giusto? Questa domanda la poniamo ad Antonio Boschetti, attuale direttore della rivista. Benvenuto o meglio bentornato. Obiettività dei testi, assenza della politica, insomma commenti scevri da condizionamenti che offuscano la penna ed il domani. Anche questo lascito lo dobbiamo a Rizzotti. 

“Ha detto bene. Una frase scritta da Rizzotti nel 1945 e pubblicata sul primo numero de L’Informatore Agrario il 10 ottobre di quell’anno chiarisce perfettamente qual era la mission della testata: “Poiché il nostro scopo primo è quello di collaborare al miglioramento dell’Agricoltura la collaborazione al nostro Periodico è aperta a tutte le categorie professionali nel loro particolare ramo di competenza. La testata è tutt’oggi saldamente coerente con il medesimo ‘scopo primo’. Ecco perché il settimanale è costruito grazie al contributo di migliaia di collaboratori specialisti di specifiche discipline; ecco perché la testata è apolitica, rispettosa del ruolo delle organizzazioni professionali e della politica, ma da essi totalmente indipendente, ecco perché prestiamo grande attenzione all’oggettività delle informazioni pubblicate, che in nessun modo devono veicolare messaggi a favore di chicchessia ad eccezione dell’imprenditore agricolo”.  

Altro input: non trattare le notizie in maniera teorica, ma in modo pratico, incisivo e risolutivo. Insomma praticità e buon senso. Anche su questo aveva visto lungo. Come vede la nostra agricoltura o meglio gli imprenditori agricoli? E sottolineo imprenditori… 

“L’agricoltura vive un momento di grande trasformazione, come forse mai prima di ora. E l’agricoltore è chiamato a essere imprenditore a tutto tondo. L’ingresso delle tecnologie e la necessità di rendere sempre più sostenibili le produzioni dal punto di vista ambientale ed economico richiederanno agli agricoltori di domani maggiori competenze. La conoscenza dell’ambiente pedoclimatico, del ciclo delle colture e delle principali malattie, dei nuovi mezzi tecnici come le biosolution dovranno affiancarsi a capacità di utilizzare DSS e sistemi di agricoltura di precisione e, ancora più importante, di interpretare i mercati e i modelli organizzativi in grado di valorizzare le produzioni agricole”. 

 

Il nostro sistema normativo ben supporta le produzioni? 

“Direi che su questo fronte c’è molto da lavorare. Spesso il nostro Paese arranca nell’adeguarsi tempestivamente alle esigenze dell’impresa, agricola e non. Basti pensare ai ritardi con cui vengono applicate le normative europee ed erogati gli aiuti della pac, soprattutto in alcune regioni dove addirittura non si riesce a spendere tutte le risorse assegnate da Bruxelles. Probabilmente negli ultimi anni i problemi maggiori sono arrivati però proprio dall’Europa, dove, sotto la spinta del commissario alla transizione ecologica e primo vicepresidente del Parlamento europeo Frans Timmermans, sono state avanzate una serie di proposte di provvedimenti fortemente penalizzanti per la produttività del comprato agricolo. Basti pensare alla legge sul ripristino della natura, alla proposta di Regolamento sull’uso sostenibile degli agrofarmaci e alla direttiva sulle emissioni industriali, all’interno della quale dovrebbero ricadere anche gli allevamenti bovini di medie dimensioni. Dall’altra parte invece nulla di fatto ancora sul fronte delle nuove tecniche di miglioramento genetico, ancora al palo per la mancanza di una normativa di riferimento, auspicata a gran voce dagli agricoltori e dalle loro rappresentanze perché strumento irrinunciabile per raggiungere i livelli di sostenibilità ambientale richiesti dai consumatori e da Bruxelles. Nessun progresso nemmeno sul fronte della reciprocità, con il risultato che gli agricoltori europei ed italiani restano esposti alla concorrenza dei produttori internazionali, i quali non seguono standard rigidi come quelli europei ad esempio per quanto riguarda i diritti dei lavoratori e la salubrità dei prodotti”. 

Riteniamo che il settore primario ancora venga penalizzato sul valore aggiunto finale delle produzioni. La battaglia delle battaglie. Da dove partire o ripartire? 

“È così gli agricoltori sono l’anello debole della filiera, sappiamo che solo una piccolissima percentuale del valore dei prodotti finiti arriva nelle mani dei produttori anche quando si tratta di frutta e verdura fresca non trasformata. Per affrontare la questione serve innanzitutto più consapevolezza da parte degli agricoltori sulle regole fissate dalla Direttiva europea 2019/633, che garantisce alcune tutele in merito al valore attribuito ai prodotti che dovrebbe coprire almeno i costi dell’agricoltore. Detto questo non esiste una ricetta univoca per salvaguardare la redditività dell’impresa bensì una serie di iniziative tra le quali l’imprenditore deve scegliere la più adatta per la propria realtà: concentrare l’offerta attraverso le op o le cooperative, scalare la filiera con iniziative agroindustriali private o cooperative oppure aderendo ad accordi di filiera, puntare sulla comunicazione al consumatore dei valori del proprio prodotto in termini di legami con il territorio, ecc. In definitiva la capacità di innovare è fondamentale anche per la valorizzazione delle produzioni e difendere la remuneratività dell’impresa. Non va dimenticata comunque la necessità di spingere Bruxelles a stabilire regole di reciprocità ferree per le derrate di importazione”.  

Tutto cambia: clima, mercato, materie prime.  Eravamo abituati ad una “anomala” normalità?  Un provvedimento che non possiamo più rimandare ed uno da ripensare. Il vecchio continente: sappiamo farci ascoltare? 

Come scritto da Angelo Frascarelli in un recente editoriale pubblicato sulla nostra testata ‘Come crescere e lavorare con volatilità dei prezzi e incertezza sulle rese’ la ‘nuova normalità’ per gli agricoltori è caratterizzata da grande volatilità dei mercati e da un clima molto diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati fino alla fine del secolo scorso. Lo sforzo che tutti gli imprenditori agricoli devono compiere è quello di trovare le strategie per continuare a essere imprenditori anche in questo difficile contesto. Ma l’impresa non ce la può fare se la politica stenta a stare al passo con l’evoluzione tecnologica e non offre il quadro normativo all’interno del quale le iniziative imprenditoriali possono esprimersi. Mi riferisco alla questione già richiamata delle nuove tecniche di miglioramento genetico rispetto alle quali Bruxelles è rimasta a guardare. Serve subito una legge di riferimento che consenta lo sviluppo di piante resistenti alle avversità biotiche e abiotiche, più produttive di quelle di cui disponiamo e perché no migliorate anche dal punto di vista nutrizionale e nutraceutico. I laboratori delle Università italiane e del Crea sono attrezzati e pronti ad accettare la sfida e lo sono oltre agli imprenditori agricoli anche le poche imprese del settore sementiero ancora rimaste in Italia. Il nostro Paese deve riuscire a tessere in Europa quelle alleanze che ci consentano di essere protagonisti in questa battaglia e di incidere sulle decisioni delle istituzioni europee. A Bruxelles le alleanze sono più efficaci delle proteste, ma l’Italia per tanti anni è stata assente o peggio presente con strategie ‘populiste’, scaricando responsabilità sull’Unione europea o esercitando sterili contrapposizioni”. 

Chi più dell’agricoltore è buon coltivatore dell’ambiente? Possibile si debba sempre ricevere ammonimenti e di negative osservazioni? 

L’agricoltura è ostaggio di un’immagine che noi stessi abbiamo contribuito a creare, pertanto agli occhi del consumatore tutto ciò che differisce dalla visione bucolica e romantica del settore primario, ormai radicata nell’opinione pubblica, corrisponde a una agricoltura che inquina, non rispetta il benessere degli animali e non produce cibo di qualità. Le automobili più sono tecnologiche più sono apprezzate, il cibo invece è apprezzato quando viene prodotto senza ricorrere alla tecnologia. Dobbiamo, un po’ alla volta rovesciare questa percezione, raccontando che la tecnologia aiuta a produrre cibi più sani, a prezzi accessibili e nel rispetto dell’ambiente”.  

Progetti e speranze nel cassetto? 

“Più che un progetto è un sogno: attivare un grande progetto nazionale per l’educazione alimentare nelle scuole, l’unica via per cambiare la percezione collettiva dell’agricoltura ed educare i giovani ad apprezzare e consumare consapevolmente i cibi del made in Italy”.  

Davvero grati della disponibilità. Siamo sicuri che ci rivedremo nelle nostre iniziative o nelle nostre stanze.

 

Le ultime novità