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Chi non è curioso non impara niente. Con questa frase diamo il benvenuto al Professore Attilio Scienza.

Ago 14, 2023 | Apertis Verbis, Novità

Concorderà con questa affermazione?

“Utilizzo queste parole per aprire i miei corsi e rammento il colloquio fra Platone ed Agatone, nel ‘Simposio’ quando quest’ultimo riferisce che la formazione è come svuotare un bicchiere e riempirlo nuovamente. Non è così ammonisce il Filosofo. Occorre che sia tutto vuoto, così siamo aperti ad ascoltare e riempirlo a modo nostro. Sintetizzerei così”.

Curiosità e innovazione. Innovazione e tradizione il giusto connubio della nostra viticoltura?

“Non è così. Per innovare dobbiamo ‘tradire’, in parte, la tradizione, lasciare quello che serve. La viticoltura autoctona deve utilizzare le odierne tecnologie. Così facciamo una sana innovazione sulle basi della tradizione”.

L’ordinarietà non avrebbe permesso di coltivare le moltissime varietà che abbiamo. Sappiamo valorizzarle oppure ci sono ancora opportunità da cogliere?

“Il termine autoctono, dal greco autòs stesso, e chthòn terra, indica l’appartenenza di qualcosa o qualcuno ad un luogo. Ma non dobbiamo farci trarre in inganno. La differenza vera sta ove si coltivano le varietà. Prendiamo ad esempio il Sangiovese. Non è certo originario della Toscana, ma qui dà il meglio di sé. Dobbiamo capire bene dove ogni vitigno si esprime nel modo migliore”.

L’alta scuola del Sangiovese? Iniziativa da mutuare?

“Certamente sì. Speranza da coltivare. Così abbiamo formato oltre ricercatori di primissimo livello. Oggi il Sangiovese può vantare una conoscenza di dati che nessun altro vitigno possiede. Altre varietà dovrebbero seguire il medesimo trattamento, come ad esempio il Montepulciano, ma ovviamente ce ne sono altri che meritano”.

Oltre al Sangiovese, altro vitigno toscano da menzionare, senza mancare di rispetto a tutti gli altri?

“Direi il Vermentino; ha tutte le caratteristiche per primeggiare. Deriva dalle uve da tavola, resiliente, durevole al caldo e può essere invecchiato. Merita attenzione ed investimenti”.

A quale progetto sta lavorando?

“Lavoriamo sulla formazione e sull’informazione. Ne abbiamo bisogno. In questo momento corsi con i giornalisti. Dobbiamo intensificare queste attività, direi fondamentali”.

La nostra viticoltura di cosa abbisogna? Quali mali dobbiamo curare?

“Siamo di fronte ad una scelta epocale. Le nostre conoscenze non sono sufficienti a far fronte a tutti questi cambiamenti climatici. Non riusciamo a difendere la nostra uva nemmeno dai forti attacchi patogeni, come la peronospora, mal dell’esca flavescenza dorata. Dirimente un salto di qualità.  Abbiamo bisogno d’informazioni. Oggi operiamo di rimessa, ma dobbiamo giocare di anticipo. Altrimenti sono tutte battaglie perse. La digitalizzazione ci aiuterà, abbiamo bisogno di prevedere e quindi di anticipare”.

L’Europa opportunità ed impegno?

“Entrambe le cose che vanno di pari passo. Sta a noi trovare le opportunità le giuste occasioni premianti. Ma siamo i primi a limitarci, forse ancora troppo individualisti, in taluni casi troppo pessimisti. Dovremmo prendere esempio da altri paesi”.

Troppe denominazioni? O troppo piccole?

“Ambedue. È necessario ridurle per crearne di più grandi e tenere in vita quelle ove c’è davvero interesse, ove ci sono significative “rivendicazioni”. Dobbiamo evitare di far vivacchiare quelle davvero poco interessanti. Difficile, perché tutti vogliono mantenere la propria bandierina, ma questo non porta alcun vantaggio al sistema, tutt’altro. Questo porterà anche a Consorzi più dinamici, fondamentali per la promozione, la vera forza. Certamente tutti possono dare un contribuito, ma la reale differenza sta qui. Dobbiamo tutelare le individualità usando di più le UGA. Forse ancora non si è apprezzato questa possibilità”.

Un suo pregio?

“Ho sempre cercato di aggregare di far valere di più i punti in comune che quelli che creavano distanza. Non è facile ma questo è un sistema che premia sempre. Ma non è né capito né apprezzato. C’è troppa voglia di mantenere le distanze per far vedere il merito di un risultato o di un percorso virtuoso intrapreso e premiante. Non giova, l’unità d’intenti ha grandi capacità di ritorno sulla collettività e sulle attività economiche”.

Un momento che ricorda più spesso?

“Ho avuto la fortuna di girare il mondo in lungo ed in largo. Ho visto nei luoghi più disparati la coltivazione della vite. Vedere aiuta di più a capire che a leggere. Veniamo subito attratti e colpiti da particolari usi e consuetudini che su di un libro spesso non vengono riportati né debitamente valorizzati. Insomma ritorniamo alla curiosità…”.

Così terminiamo un prezioso momento di confronto. L’esempio vale molto di più di tante parole. Carissimo Professore, La ringraziamo nella speranza che sia solo un arrivederci.

Il Direttore,

Gianluca Cavicchioli

 

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