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Vis à vis con il Professor Marco Apollonio

Set 25, 2023 | Apertis Verbis, Novità

Dopo molti momenti di partecipazione a nostri convegni ed iniziative, oggi abbiamo il piacere di poter parlare direttamente con il Professor Marco Apollonio. Siamo davvero onorati di questo.  Per condividere bene, riteniamo che non sia sufficiente conoscere gli argomenti e problematiche, ma è anche opportuno ed indispensabile avere affinità nel modo di approcciarsi, al rispetto delle persone e delle cose, nell’umiltà di saper davvero ascoltare e soprattutto riuscire bene a spiegare ed a rappresentare percorsi fattibili e ricchi di buon senso. Tutto questo lo riscontriamo, crediamo reciprocamente, con Marco Apollonio. Ed allora iniziamo, da dove? Direi dal curriculum. Il Bignami delle conoscenze ed esperienze. Davvero lungo e ricco. Testimonianza di curiosità, abnegazione e tanto amore per la professione, giusto?

“Giusto, ho avuto il privilegio di poter fare il lavoro che volevo, di studiare gli animali selvatici nel loro ambiente e di occuparmi della loro conservazione e gestione. Questo per me non è stato solo un lavoro, ma un modo di vivere che mi ha imposto scelte difficili sul piano personale, ma mi ha permesso di essere me stesso senza compromessi. Avere avuto questa fortuna mi porta a sentire l’obbligo di condividere quello che ho ottenuto in termini di conoscenza con gli altri, da qui l’interesse ed il piacere di collaborare con chi, come voi, si occupa dei problemi reali delle persone che vivono a contatto con la natura nel tentativo di contribuire a risolvere i tanti problemi che si presentano in questo campo”.

Quale momento o accadimento è stato determinate per questo percorso professionale?

“Non riesco ad individuare un momento preciso, gli animali selvatici mi hanno sempre affascinato fino da molto piccolo, uno dei miei primi ricordi è stato un piccolo mammifero (avevo deciso che era una talpa) morto nella pineta di Ravenna, dove mia madre mi aveva portato a camminare (poco, avevo 3 anni). In seguito, ho avuto la fortuna di incontrare persone notevoli che hanno contribuito a convincermi di quello che stavo facendo e fra questi voglio ricordare due amici scomparsi, Danilo Mainardi e Guido Tosi, e la persona che mi consentito di arrivare in Università, Floriano Papi. Inoltre, i tanti amici coetanei e non con i quali ho condiviso e condivido la passione per gli animali selvatici, fra cui molti miei ex studenti oramai colleghi universitari o professionisti affermati come Massimo Scandura e Siriano Luccarini”.

Tratta argomenti davvero complessi e ormai da tempo d’interesse quotidiano. La convivenza con la fauna selvatica non è certamente cosa peculiare e non può essere risolta con banali considerazioni. Ma lo sappiamo, siamo esperti allenatori, epidemiologi, climatologi ed appunto zoologhi e veterinari.

“Questo è il principale problema del nostro lavoro in termini di considerazione sociale e soprattutto politica: nessuno si sognerebbe di calcolare le caratteristiche di una trave in cemento armato per un edificio senza essere un ingegnere edile, moltissimi sproloquiano di gestione faunistica, ecologia animale, sistematica ed altro senza averne la minima cognizione, o solo per aver visto un documentario o praticato la caccia o la fotografia naturalistica nei migliori dei casi. In generale manca la consapevolezza che la gestione della fauna è una professione che, come tutte, richiede competenze specifiche maturate attraverso corsi di studi dedicati e anni di esperienza sul campo. Fare errori in questo contesto è molto costoso in termini sociali ed economici. Credo che la attuale situazione faunistica italiana sia un buon esempio del peso di queste conseguenze”.

Ma questa convivenza non è certo cosa degli ultimi lustri; anche noi facciamo parte dell’ecosistema. Ma abbiamo il compito di dover governare bene gli eventi. Crediamo però che non sia andata sempre così?

“La convivenza con gli altri mammiferi e in generale con le specie animali è ovviamente iniziata con la nostra specie, quello che va compreso da noi europei è che viviamo in un continente che abbiamo modificato profondamente da tempi antichissimi e dove il numero di uomini è infinitamente superiore a quello, per esempio dei grandi mammiferi, per un ungulato ci sono 25 persone almeno, per un grande carnivoro (orso o lupo) ce ne sono più di 11.000, appare ovvio che dobbiamo fare i conti con questa condizione e non immaginare di voler tornare a situazioni primigenie che ci porterebbero a far tornare la Pianura Padana una foresta di querce con paludi estese e a far scomparire cipressi e pini marittimi perché non originari del nostro Paese”.

Tutto evolve, tutto si modifica in brevissimo tempo. Le norme ed i comportamenti non riescono o non si vuole farli evolvere. Abbiamo una legge quadro, la 157/92, ormai datata e superata. Serve coraggio, conoscenza e volontà di vero cambiamento.

“Serve soprattutto considerare che 30 anni fa l’Italia era ancora in una condizione nella quale i grando mammiferi erano poco diffusi ed in alcuni casi minacciati di estinzione ed in generale eravamo molto distanti dalla condizione attuale che ci riporta, in termini di distribuzione ed abbondanza di molte specie, fra cui gli ungulati, il lupo ma anche i grandi avvoltoi o gli aironi, a secoli passati, per i primi due gruppi direi almeno al 1600-1700. In questo senso è estremamente urgente dotarci di una legislazione attuale, non ideologica ma pragmatica, che coniughi la necessità di conservare una condizione faunistica improntata alla conservazione delle specie alla necessità di considerare la risoluzione dei conflitti attuali o futuribili ed in generale ad una attualità degli strumenti gestionali indifferibile. Si consideri solo quanto gli eventi hanno superato la normativa per la gestione degli ungulati selvatici che non viene semplicemente trattata dalla legge o per quanto concerne i censimenti, base di ogni gestione consapevole, che semplicemente non esistono nel dettato legislativo”.

Una cosa davvero curiosa. Guardiamo all’Europa solo quando ci conviene di più. Nel nostro paese la convivenza è momento di dramma e scontro. In alcuni paesi europei l’abbondanza di fauna selvatica è un’opportunità da cogliere e così fanno. Siamo così diversi e poco lungimiranti? Possibile?

“Questa è una delle constatazioni più demoralizzanti a riguardo alla nostra incapacità di trarre profitto dalle opportunità che una condizione faunistica fra le più ricche d’Europa ci offre. Mentre in tanti paesi europei la presenza di molte specie diventa una fonte importante di reddito e di occupazione, nel nostro Paese questa si trasforma in un costo per la comunità che arriva ad accollarsi spese incomprensibili pur di soddisfare posizioni ideologiche anacronistiche o più semplicemente per ignoranza o disinteresse della classe politica. Quest’ultima non ha mai dimostrato una particolare attenzione per la gestione faunistica tanto è vero che negli ultimi decenni, in corrispondenza all’aumento delle problematiche di gestione e conservazione, ha risposto smantellando strutture fondamentali come le polizie provinciali (i vecchi guardiacaccia) e dimostrando un interesse nullo verso il mantenimento di personale esperto e specializzato nella gestione faunistica in ambiti protetti e non”.

L’asse stato regioni, aiuta una sana e lungimirante gestione della fauna selvatica?

“Se funziona sì, se invece deve esprimere posizioni ideologiche che portano alla paralisi di decenni (come nel caso del piano sulla gestione del lupo in Italia) mi trovo a desiderare uno stato centralista”.

Nel lontano 1992 il capriolo era specie da irradiare, il lupo ed orso specie particolarmente protette. Ora sembra di vivere in altra epoca. I dati dicono questo, ed allora cosa aspettiamo? Come sempre il casus belli che crea dibattito e ridesta i fantomatici esperti prima menzionati?

“Come ho detto prima siamo in un mondo diverso dal secolo scorso, prima ce ne rendiamo conto meglio è, alcune iniziative legislative sembrano suggerire un risveglio del mondo politico, credo però che i contenuti tecnici servano ad affrontare i problemi insieme alla consapevolezza, e non ho l’impressione che abbondino. In generale c’è uno scarso interesse della politica per le istanze tecniche e di converso ci sono tecnici pronti a fornire le versioni più gradite alla politica o più popolari fra il grande pubblico”.

Lupo ed orso: grandi carnivori. Come si comportano?

“Come animali selvatici, non sono né cattivi né buoni, hanno logiche che derivano dalla loro evoluzione come specie e dalle caratteristiche dell’ambiente in cui vivono, se ne vogliamo fare delle belve assetate di sangue o dei pupazzetti di pezza facciamo un errore madornale che purtroppo ha già generato grossi problemi. Se non arriveremo a gestire queste specie in modo realistico, ma continueremo ad oscillare fra il protezionismo assoluto, non rivolto alla conservazione delle specie ma di ogni individuo, qualsiasi cosa faccia, e le velleitarie grida di sterminio assoluto che si infrangono sul primo ricorso di associazioni animaliste, assisteremo al crollo di ogni modello di convivenza possibile con queste specie”.

Gli ungulati: cinghiali, caprioli, daini, cervi ed anche mufloni…due parole anche su di loro e comunque crediamo che siano specie intimamente legate.

“Queste specie che in Italia sono cresciute in modo esponenziale a partire dal dopoguerra hanno raggiunto numeri che ci collocano ai primi posti in Europa per consistenza dei popolamenti. Ovviamente questo ha portato grandi opportunità sia per l’ecosistema nel suo complesso, e la ripresa del lupo ne è un buon esempio, sia per le attività umane, per le quali lo sviluppo la caccia di selezione agli ungulati ha rappresentato lo sviluppo culturale del mondo venatorio più rilevante degli ultimi 50 anni. Alle opportunità si uniscono inevitabilmente i problemi: danni all’agricoltura, impatti sulle foreste, incidenti stradali, urbanizzazione, malattie trasmissibili ai domestici ed all’uomo. Tutto questo richiede attenzione e soprattutto conoscenza, purtroppo manca a livello politico ed amministrativo la capacità e la volontà di utilizzare questo approccio, dove uno non vale uno, e dove se non si sa di cosa si parla si fanno errori che poi vengono scontati dalle diverse categorie sociali che devono fare i conti con la presenza di queste specie. Un fenomeno relativamente nuovo e legato a fattori di cambiamento ambientale di varia natura, dall’evoluzione delle foreste alla crescita di popolazioni di specie competitrici o di predatori, o/e di cattiva gestione venatoria ha generato per alcune specie di ungulati un cambiamento di dinamica avvertito in molte aree italiane con decrementi a volte molto sensibili, come nel caso del capriolo o dei nuclei introdotti di muflone in Italia continentale. Anche questi elementi vanno presi in considerazione, perché possono portare ad una semplificazione non desiderabile del quadro faunistico in vincitori, il cinghiale in testa, e appunto vinti”.

Quanto incide la quotidianità dell’uomo sui loro comportamenti?

“Moltissimo, noi determiniamo in modo decisivo le caratteristiche ambientali e le condizioni di accesso ai diversi ambienti. Ci sono specie che hanno popolazioni con ritmi di attività completamente diversi in funzione del maggiore o minore disturbo antropico. Per esempio il Covid con le restrizioni alle attività umane ha indotto grandi cambiamenti nei comportamenti degli ungulati selvatici con particolare riferimento all’accesso ad ambienti semi urbani o urbani”.

In Europa ci sono esempi che potremmo seguire, anche sul lupo ed orso?

“In Europa sulla gestione dei grandi carnivori regna il caos assoluto nel senso che ogni stato fa quello che ritiene, con modesta considerazione della situazione oggettiva delle popolazioni. Fermo restando che esistono modelli di gestione che riescono a minimizzare gli impatti e conservare popolazioni anche molto numerose di grandi carnivori, e la Slovenia è un ottimo esempio di questo, con i suoi 1200 orsi su un territorio grande quanto la Lombardia, resta una estrema eterogeneità di comportamenti. Per esempio, in Svezia con numeri ridicolmente bassi in rapporto, per esempio, all’Italia si conduce una gestione venatoria del lupo. Di fatto sarebbe opportuno avere norme uniformi basate sul realismo ma anche su politiche che tendano effettivamente a conservare popolazioni adeguate. Una delle considerazioni più incredibili a proposito della gestione del lupo in Europa per esempio, è che in nei paesi con i numeri più elevati non c’è gestione venatoria ma neanche controllo di individui problematici, mentre nei paesi con numeri più esigui, appunto Svezia, Finlandia e in futuro Svizzera si procede ad una gestione ordinaria”.

Gli agricoltori non possono essere considerati in subordine agli animali selvatici e questa è una considerazione di buon senso, anche perché creano lavoro e tutelano l’ambiente. Possibile non trovare un’accettabile quadra?

“La quadra si trova se la si vuole trovare, questa volontà manca in modo evidente ma soprattutto manca la capacità di capire cosa fare per mancanza di preparazione e di applicarlo per mancanza di coraggio politico”.

Ci pare di capire che è fondamentale quando si manifestano le criticità poter operare velocemente e con grano salis giusto? Quindi da evitare stravaganti e pubbliche considerazioni a giustificazione e tutela di chi opera e di chi deve difendere comportamenti contro il provvedimento?

“Il punto è esattamente questo: la velocità di risposta ai problemi causati dalla fauna selvatica. Questo richiederebbe da un lato una chiara definizione di problema, per esempio un orso che uccide una persona va rimosso immediatamente e non ci possono essere tentennamenti, perché fa parte di quella piccola frazione di individui che essendo eccessivamente aggressiva non è compatibile con un ambiente nel quale noi siamo presenti. Ad una scala meno drammatica ma altrettanto bisognosa di norme chiare, se in una coltura difesa da opere di prevenzione un cinghiale riesce ad entrare comunque va rimosso nelle ore successive, senza che si inneschino meccanismi burocratici che servono solo a creare uno sconfortante senso di abbandono da parte dello Stato nell’utenza. Non possiamo pensare che un lupo in ambiente urbano vada catturato, dotato di radiocollare e poi seguito nelle sue attività come da alcuni viene sostenuto, semplicemente perché non ci devono essere lupi (o cinghiali) nelle città o nei paesi visto che non rappresentano il loro ambiente naturale, che in quei contesti non hanno alcuna funzione ecologica e che generano un senso di assoluta sfiducia dei cittadini nella capacità dello Stato di rispondere a situazioni critiche”.

La cosa più urgente che dovremmo fare?

“Prendere sul serio il tanto lavoro scientifico serio in campo zoologico e gestionale in particolare che si fa nel nostro Paese e che viene sistematicamente ignorato da chi assume decisioni a diversi livelli”.

In Toscana aspettiamo il PFV da oltre un lustro. Tempo perso invano?

“Il PFV è un elemento di pianificazione essenziale, prima arriva meglio è, ed in generale sarebbe utile fare le cose nei tempi stabiliti”.

Una cosa da attenzionare?

“Il grande cambiamento delle situazioni ambientali e l’inutilità di voler tornare al passato quando mancano le condizioni ecologiche e sociali, fare programmi realistici puntando sulle specie che possono effettivamente vivere nel territorio toscano come è non come era”.

Il prossimo progetto?

“In realtà sono diversi, ce ne sono due ai quali stiamo lavorando intensamente: uno con il Centro Nazionale di Biodiversità riguarda la risposta delle specie di mammiferi di montagna al cambiamento climatico, considerando i camosci alpini, la lepre variabile e l’arvicola delle nevi; questo progetto si sviluppa in ambito alpino sul Monte Grappa e nel Parco Naturale Adamello Brenta. L’altro riguarda il lupo e il suo impatto predatorio sugli ungulati selvatici e sui domestici includendo la sperimentazione di misure di prevenzione dei danni innovative. Questo ha una diffusione territoriale ampia che va dalle coste tirreniche nel Parco Regionale di San Rossore, all’appennino nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi all’arco alpino con diverse aree in Veneto con particolare riguardo al Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi ed alla Provincia di Belluno”.

Pregi e difetti di Marco Apollonio?

“Difetti: una lunga lista. Se vogliamo restare nel campo professionale la scarsa capacità di dire di no che mi porta a correre perennemente dietro ai miei impegni. Pregi: credo di essere abbastanza determinato nelle mie decisioni, il che non necessariamente è apprezzato da tutti…”

Un momento che ricorda con piacere ed altro con tristezza?

“Anche qui restiamo nell’ambito professionale, agli inizi della mai carriera avevo ‘scoperto’ un nuovo sistema riproduttivo nel daino in contemporanea con un francese ed un inglese (lo so, sembra una barzelletta) nel campo specifico dell’ecologia comportamentale era un bel risultato, dal quale sono partito per fare tante altre cose. La tristezza è legata alla scomparsa prematura di alcuni colleghi di cui avevo grande stima e che ho citato precedentemente e a cui aggiungo Nicola Saino”.

Così è imperdonabile e cosa impagabile?

“Imperdonabile è mentire sapendo di farlo, una attività abbastanza praticata anche nel nostro ambiente. Impagabile è dire quello che si pensa, sempre”.

Direi che per oggi può basare così. Grazie della disponibilità. A prestissimo e grazie anche per l’attenzione vera al nostro mondo e agli agricoltori.

Con stima ed amicizia qui ci salutiamo.

Il direttore,

Gianluca Cavicchioli

 

 

 

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